BRASILE

NOVEMBRE 2012


Itinerario: Rio de Janeiro - Manaus (Amazonas) - Alter Do Chao, Belem (Parà) - Parati.

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26 Ottobre


Dopo tanta Asia, e dopo tanti anni dall’ultima volta, torno in Sudamerica. Con 1 ora di ritardo il volo transoceanico dell’Air France atterra finalmente a Rio de Janeiro, Brasile: fa caldo, sono le 19.30 ora locale, la città è illuminata da tante piccole luci che sembrano quasi arrampicarsi sui promontori che la circondano, mentre il gentile addetto della Misti Guesthouse, venuto a prendermi in aeroporto, mi sta portando a destinazione con la sua auto; con me c’è Gabriella, collega e amica, al primo viaggio insieme. La stanchezza dovuta al lungo viaggio mi annebbia un pò la vista ma anche le emozioni, straparlo, e per evitare di strascivere (si dirà così?) forse è meglio godermi il letto della semplice camera con bagno della Misti e rimandare qualsiasi emozione a domani.


27 Ottobre


Rio de Janeiro e il Brasile in generale, senza il sole, è un immagine che il mio cervello con aveva mai contemplato fino ad ora, e invece il cielo sopra la città oggi è grigio e una leggera nebbia copre perfino la cima del Pan de Azucar visibile qua dalla spiaggia del quartiere di Botafogo. C’è comunque un caldo umido, leggermente mitigato da un venticello mentre passeggio sulla piccola spiaggia insieme a Gabriella. Il quartiere di Botafogo, dove si trova la Misti Guesthouse, è un quartiere residenziale fatto di alti palazzi bianchi, un pò invecchiati dal tempo, e da qualche grattacielo in vetro, che affacciano sull’omonima baia, proprio di fronte alla piccola montagna in parte ricoperta di vegetazione, che si staglia dal mare, il famoso Pan de Azucar. E’ uno dei quartieri più tranquilli e sicuri di quella che è rinomata essere una delle città più violente e pericolose al mondo. La piccola spiaggia ora è deserta, è presto, ci sono solo un paio di ragazzi che giocano a calcio usando le porte ubicate sull’arenile; poco più in là inizia la lunga pista ciclo pedonale, in asfalto rosso, che costeggia da un lato la strada dove sfrecciano i numerosi taxi gialli, gli autobus locali e qualche auto, e dall’altro la baia fin su al quartiere di Flamenco e alla sua più grande spiaggia; lungo questa pista di gente ce ne è eccome, qualcuno in bicicletta ma la maggiorparte è gente che fa jogging: gente di tutte le età e di tutti i fisici, dal palestrato a petto nudo, alla ragazza dalle forme perfette evidenziate da minuscole mise, dall’anziano che a vederlo cominci a tremare per un suo possibile infarto, alle signore che a giudicare dal fisico diresti che forse quella è la loro prima corsa in vita; quasi tutti con le cuffie alle orecchie e le scarpette da ginnastica, che sembra qui si usino solo per questo, infatti altrove solo infradito, infradito e ancora infradito. Giù sugli scogli di questo tratto di baia, qualcuno pesca mentre qualche povero senza dimora ne ha fatto la sua casa. Arriviamo prima di Flamenco,fino ad un piccolo obelisco, il monumento di Sa, scelto oggi come luogo di ritrovo da un nutrito gruppo di giovani neolaureati, ragazze e ragazzi in posa per le foto di rito nei loro camici bianchi da dottorato; poco distante, una signora sta dando del cibo ad una colonia di gatti randagi. Sono quasi le 10 del mattino, ora di apertura del centro commerciale all’interno del quale c’è un ufficio di cambio, quindi ripercorriamo la pista a ritroso e in poco tempo (Botafogo non è grandissimo come quartiere) siamo nel moderno centro a più piani, con i negozi che stanno aprendo, c’è anche uno Starbucks: la giovane impiegata dell’ufficio di cambio è sorridente e precisa e io finalmente ho i miei Real ben nascosti indosso (1 euro = 2,51 Real). Primo acquisto, il biglietto della metropolitana, un tesserino magnetico che costa quanto i nostri biglietti urbani, e che il tornello si “mangia” una volta inserito per il passaggio; dalla fermata di Botafogo fin verso nord a quella di Cinelandia, nel quartiere del Centro. Rispunto in superficie proprio dinanzi al bianco ed elegante Teatro Nacional, tra alti edifici in vetro che si mescolano a case coloniali color bianco molto ben tenute; ma serve fare poche centinaia di metri per affacciarsi ad un’altra Rio, dagli edifici vecchi e semi abbandonati, con persone nascoste tra le sporche aiuole che dormono o frugano fra i cassonetti colmi di immondizia. Questo è il quartiere di Lapa, dove, nascosta in uno dei suoi maleodoranti vicoli, c’è una delle bellezze artistiche più insolite e colorate della  città: una lunga scalinata di 215 gradini completamente rivestita da migliaia di piastrelle dalle forme diverse provenienti da tutto il mondo, l’Escadaria Selaron, opera mosaico dell’omonimo artista cileno, che tra l’altro è proprio qui, folta barba bianca in viso, mentre continua la sua opera che è sempre in evoluzione. Bella, uno caleidoscopio di colori, unica nel suo genere; ma anche completamente al sole, che nel frattempo ha fatto la sua entrata in scena (Brasile senza sole proprio no) e in grande stile considerato quanto picchia, nel cielo che ora, finalmente, ha assunto il suo naturale colore blu intenso. Passeggiamo fino a passare accanto alla grande quanto orribile costruzione piramidale in cemento che è la Cattedrale di Rio, sempre a piedi e chiedendo indicazioni, fino ad arrivare, dopo esserci persi un paio di volte ed esserci imbattuti in un piccolo ma vivace mercato di frutta e verdura, nel quartiere coloniale di Santa Teresa; nulla di imperdibile a dire il vero, pensavo meglio. Un pò stanchi dal camminare e dal caldo, ci fermiamo per una sosta a berci un fresco frullato di frutta, per poi riprendere il cammino (siamo riusciti fin qui a fare a meno dei taxi!) fino alla metropolitana e tornare al quartiere di Botafogo; da qui, a piedi, il piccolissimo quartiere di Urca (dove si può salire al Pan de Azucar) dista solo pochi km e un paio di azzardati attraversamenti stradali: poche vie e piccole abitazioni che somigliano a villette coloniali, all’ombra di grandi alberi dagli enormi fusti e con radici che penzolano come fitte liane dai rami sporgenti, tanto da farli somigliare agli alberi viventi della trilogia di Tolkien “il Signore degli Anelli”. Alcuni ragazzini si tuffano dall’estremità di un piccolo ponticello giù nelle acque della baia, dove sono ormeggiate diverse barchette  in legno colorate. Il quartiere ha anche due piccole spiagge appartate e oggi particolarmente frequentate soprattutto da famiglie: Praia de Fora e la più bella Praia Vermelha, con sullo sfondo il Pan de Azucar, dalla sabbia che sembra zucchero di canna e con le piccole barracas che vendono cocco fresco e birre. Dalla piazza antistante la spiaggia parte la fila per salire con la cabina funicolare fin su al Morro de Urca e poi ancora al Pan de Azucar, ed è proprio qui che siamo diretti. Coda, biglietto (ben 53R), e si sale sulla funicolare vetrata che lentamente sale fino al Morro de Urca, un’altura di 220 metri dove c’è qualche negozio di souvenir, un bar, e soprattutto lo spettacolare panorama sulla Baia de Guanabara e sull’intero quartiere di Botafogo, con l’insenatura piena di piccole imbarcazioni ormeggiate. Passeggiando tutto attorno, gli scorci su Rio sono davvero suggestivi, in particolare quello sulla Praia de Vermelha vista dall’alto; la vegetazione è fitta, continuo a scattare foto fino a quando decido di riprendere la funicolare per l’altro tratto fin su al Pan de Azucar (passa una funicolare ogni 20 minuti), alto 720 metri, da dove il panorama a 360° su Rio de Janeiro, col sole che tramonta alle spalle del Cristo Redentore che svetta dall’alto, è a dir poco superlativo! Le lunghe spiagge di Ipanema e Copacabana lambite dal blu dell’Oceano, le foreste pluviali che circondano la città e le sue splendide alture che spuntano al suo interno come enormi funghi ricoperti di fitta vegetazione e che separano i vari quartieri, le isole montagnose che spuntano dalle acque...Rio vista da qua, nel suo insieme, merita davvero l’appellativo di Ciudade Maravilhosa! Poco prima che il sole tramonti del tutto, uno zelante ma gentile poliziotto, invita tutti a riscendere con la funicolare. Bellissimo davvero il panorama da qui. Le ultime ore di questa prima giornata brasiliana, le trascorro con Gabriella in Praia Vermelha, seduto sulla sua soffice sabbia dalla consistenza particolare, osservando da un lato il Pan de Azucar, le cui rocce ora il sole dipinge quasi di rosso, mentre le ultime famiglie si accingono a lasciare la spiaggia, dove ormai rimane solo qualche bambino che gioca a riva e un paio di pescatori. Ci incamminiamo anche noi fino a tornare a Botafogo, sui cui marciapiedi han fatto la loro comparsa piccoli carretti a triciclo che vendono pannocchie e noccioline tostate, mentre alti perfino zuppe calde cotte in grandi pentole. Ci rifugiamo per cenare in uno dei piccoli locali all’aperto e ci gustiamo un buon churraschito; dalle tv del locale stanno trasmettendo in diretta proprio la partita del Botafogo, la squadra locale, una delle tante blasonate squadre di Rio. Il Botafogo segna, poi raddoppia...finisce 4-0, qualcuno ai tavoli esulta come allo stadio ai gol, anche questo è Brasile.


28 Ottobre


Il Misti, dove pernotto, è un posto tranquillo e particolare, situato in fondo ad una piccola strada senza uscita, a pochi passi dalla spiaggia di Botafogo; si entra da un piccolo cancello (video sorvegliato) in un corridoio stretto, pieno di piante e con le pareti color pastello, dove si accede ad una grande sala comune con divani e poltrone  che fa anche da reception; alle pareti c’è appeso di tutto, sembra di essere più in un pub, gli ospiti sono tutti turisti giovani e la colazione a buffet che mi sto gustando è davvero ottima, tra frutta fresca, succhi, torte casalinghe e il dulce de leche! Tra gli ospiti c’è anche un simpatico e giocherellone gattino, la star del luogo! E’ domenica, fuori la città, come è normale che sia, sembra ancora dormire e c’è poca gente in giro nel breve tragitto tra la guesthouse e la fermata della metropolitana: poche fermate fino al capolinea, nei pressi di una delle più famose spiagge al mondo, Ipanema! Ipanema è una spiaggia fantastica, una lunga striscia di fine sabbia invasa da carioca di tutte le età, delimitata da un lato dalla pittoresca altura del Morro Irmaos; alle spalle della spiaggia, palazzine e alberghi e un ampio viale contornato da alte palme, oggi completamente chiuso al traffico e popolato da una miriade di persone che fanno jogging, vanno in bicicletta o skateboard! Ma la star è lei, la spiaggia, con gente diversissima che sembra mescolarsi alla perfezione, con le donne, di ogni età, dall’adolescente all’anziana, che sfoggiano costumi ridottissimi, nessun topless ma mai vista una quantità simile di perizomi, qui è l’assoluta normalità, e non solo per le ragazze dal fisico perfetto (e sono davvero tante!). Passeggio lungo la riva godendomi questa eterogenea e colorata mescolanza di gente. In cielo volano diversi albatros, mentre un leggero e provvidenziale vento, fa sventolare le bandiere delle squadre di calcio locali che svettano sulle piccole barracas che vendono bibite (ce ne è una enorme verde e rossa del Fluminense, ma anche quelle di Botafogo, Gremio e Flamengo). Tra i numerosi ombrelloni di color rosso, si aggirano venditori ambulanti di reggiseni (pare che la norma sia anche su questo, indossare almeno due taglie in meno della propria), di pareo colorati e anche di biscotti. Proprio bella Ipanema! Dopo aver scattato qualche foto, torno sulla via pedonalizzata, e tra i tanti che corrono per tenersi in forma, c’è perfino un papà in tenuta da jogging che spinge correndo il doppio passeggino dei suoi piccoli figli, i quali immagino si divertano un mondo! Nonostante Ipanema abbia la fama di essere più sicura della vicina Copacabana, noto anche qui tanta polizia, qualche agente anche in bicicletta con visibilissime pettorine giallo fluorescente.  A piedi, in pochi minuti di strada, arrivo all’altra grande e famosa spiaggia di Rio de Janeiro: Copacabana, la lunga distesa di sabbia (4 km) a forma di arco. Anche qui la spiaggia è affollata, e mi appare più “popolare” come frequentazione, nel senso che si nota qualche faccia un pò così così, ma in una giornata così piena di persone, basta essere accorti per evitare spiacevoli sorprese, anche se ammetto che non girerei con la mia solita vistosa macchina fotografica al collo. Anche qua a Copacabana il viale antistante alla spiaggia è chiuso al traffico automobilistico essendo domenica, e preso quindi d’assalto da corridori e famiglie che passeggiano sull’ampio e celebre marciapiede grigio a mattoncini con disegni che ricordano delle onde nere. E’ suggestiva, più caotica di Ipanema, anche se preferisco quest’ultima. Prima di rientrare verso la metropolitana, proprio di fronte alla fermata, oggi l’intera piazza è occupata dalla Hippie Fair, un mercato artigianale con bancarelle di abbigliamento e oggetti, molto interessante anche se i prezzi si avvicinano un pò a quelli nostrani. Rientro così al Misti e da qui, in taxi, mi faccio portare con Gabriella fino al Cosme Velho, da dove parte il trenino che porta fin su al Corcovado: di fronte a quella che è una piccolissima stazione turistica, piena di gente e bandiere di tutto il mondo appese al soffitto oltre a qualche piccolo negozio, c’è una chiesa addobbata a festa e tanti fedeli che riempiono lo stretto marciapiede tra minuscole bancarelle che vendono oggetti sacri, fiori e candele. Acquisto il biglietto per il trenino (44 R), c’è un pò da aspettare, d’altronde questo è il luogo più celebre e conosciuto di tutta Rio; finalmente, dopo due partenze, tocca a noi. Il piccolo treno a cremagliera, composto di due vagoni, inizia, colmo di turisti, la sua lenta salita tra la fitta vegetazione di foresta pluviale, fino a raggiungere, dopo venti minuti, la cima del Corcovado; da qui, una scalinata porta ancor più su, fino ai piedi della statua più famosa al mondo, quella del Cristo Redentore, alta 38 metri, che con le sue braccia aperte sembra abbracciare dall’alto tutta la città. Il panorama a 360° di Rio da quassù è spettacolare, unico, da lasciare a bocca aperta, nonostante ci sia una quantità di turisti notevole e bisogna essere scaltri e pazienti per arrivare a fare le foto in prima fila. Il Pan de Azucar in lontananza con la baia di Botafogo di fronte, poi le lunghe spiagge, le baie, i promontori verdi e le favelas che sembrano arrampicarsi su di essi, davvero uno spettacolo grandioso. Si, i panorami dall’alto sono decisamente il punto forte di questa città. Mi faccio largo tra i turisti che come delle scimmiette ammaestrate ripetono tutti la stessa posa a braccia aperte davanti alla statua, d’altronde esiste più di un motivo per cui io sono allergico al turista! Il sole lentamente comincia a tramontare alle spalle del Cristo Redentore, e il cielo assume via via colorazioni dalle tonalità diverse, evidenziando sempre più i morbidi profili delle alture circostanti alla città, che sto ammirando da uno dei più spettacolari panorami che abbia mai visto.


29 Ottobre


Oggi la città è più trafficata: il mini van prenotato al Misti, è puntuale, e ci porta attraverso altri punti della città, a recuperare un altro gruppetto di turisti, tutti giovani, penso australiani, per poi partire destinazione favela di Rocinha., una delle più grandi della città. Non è certo da me prendere parte a tour organizzati, infatti ho una certa intolleranza, ma per poter addentrarsi in una vera favela brasiliana e uscirne vivi, questo ahimè è l’unico modo. Il minivan si ferma in una piccola piazza dove c’è un parcheggio, e da qui, uno alla volta, si sale sui diversi mototaxi lì fermi ad aspettarci: indosso un casco molto più grande della mia testa, e, ben mimetizzato, salgo con il mototassista, attraverso una strada in salita tutta curve ( e facendo più volte il pelo ad auto e bus che scendono in senso contrario), arriviamo in cima ad un’altura completamente invasa da piccole case fatiscenti. Intuisco che proprio quassù sia uno dei punti di acceso alla favela, vista anche la presenza di auto della polizia e gendarmi armati fino ai denti con grossi fucili in bella mostra e giubbetti antiproiettile che li fan assomigliare a dei robot. Arrivano alla spicciolata le altre moto con su i turisti australiani (in tutto saremo una decina), e da qui Patrick, la giovane guida, ci introduce a piedi nel cuore della favela raccomandandoci la massima attenzione e discrezione, e di non fare nessuna foto se non senza il suo consenso. Mi incammino negli strettissimi e bui vicoli dal terreno disconnesso, tra case che definire tali è un eufemismo, rifiuti di ogni genere ovunque, e, a pochi centimetri dalla testa, una moltitudine di cavi e fili elettrici che finiscono con l’aggrovigliarsi sui vecchi pali della luce. Rocinha è una delle favelas più antiche di Rio, per decenni luogo impenetrabile, regno dei bosso del narcotraffico locale e internazionale. Patrick spiega che anni fa, sotto il governo del Presidente Lula, è cominciato il cosiddetto processo di pacificazione, ovvero lo Stato ha costruito una serie di infrastrutture ai margini della favela (un moderno centro sportivo e delle scuole) in cambio dell’obbligo di scolarizzazione dei bambini; non è stato proprio un processo semplice e pacifico a quanto ne so, ma alla fine la maggiorparte della popolazione di Rocinha ha scelto di stare dalla parte dello Stato, in questo processo ambizioso ma anche doveroso e forse tardivo. Processo che è costatouna vera guerra tra Stato e clan, visto che debellare violenza e degrado è quasi un’utopia da queste parti. Sui muri scalcinati di queste case baracca ci sono le “firme” delle gang contrapposte, e in alcune facciate perfino i fori di grossi proiettili; alcune case hanno visibile sulle mura strati di cemento gettato per fortificarle. Una di queste case è stata trasformata in laboratorio artistico, una giovane pittrice di nome Paty espone  e vende ( e ne compro due!) le sue opere colorate su tela che raffigurano la favela stessa. Continuiamo a camminare fino a salire sul tetto di una casa e ammirare  da qui il panorama sull’intera favela, da togliere il fiato: un mare infinito di piccole case, una sull’altra, alcune colorate altre grigie e con mattoni a vista, arrampicate ovunque sulle alture circostanti, delle quali non si vede più neanche la cima nè tantomeno un filo di verde o di spazio. Case, baracche a perdita d’occhio, appiccicate, sembrano impenetrabili, degrado, tanto così come tanto lo stupore. Dall’alto noto che ogni casa sul suo piatto tetto ha una botte azzurra di acqua calda, la parabola e rifiuti vari. Mai visto una cosa del genere e soprattutto in queste proporzioni, sembra più grande di una città! Cammino per i vicoli, sempre più stretti in taluni punti, tanto che perfino in due si fa fatica a passare; per terra. là dove è presente, l’asfalto è un pò improvvisato, le case tutte a ridosso l’una dell’altra ma in tutto ciò alcune sono trasformate in negozi di generi alimentari, e perfino una pasticceria. Cani, gatti e bambini si aggirano come se tutto questo degrado fosse normale, ed in effetti per loro lo è. Rocinha è una città nella città, una delle tante qui a Rio, e fa impressione, timore e tristezza allo stesso tempo pensare alle centinaia di migliaia di persone (impossibile censirle per lo Stato) che qui vivono. Alcuni ragazzini del posto, a petto nudo, ci improvvisano un balletto con dei secchi vuoti di plastica usati come tamburi. Tra una salita e una discesa su questi disconnessi vicoli, la guida Patrick ci porta in cima al tetto di quello che assomiglia al concetto di asilo, don delle donne che si occupano di bambini piccolissimi, che in questo momento stanno dormendo, su materassi stesi per terra, in fila l’uno accanto all’altro, con indosso solo i pannolini. Dall’alto anche qui il panorama è impressionante e suggestivo, qui non è la stessa visuale che si ammira dal Pan de Azucar, è tutta un altra cosa. Riscendiamo fino ad arrivare alla strada, proprio all’altezza del grande centro sportivo costruito dallo Stato, dopo una camminata di oltre due ore in questa realtà parallela e sconosciuta. Un bel pò disorientante ma senza ombra di dubbio una breve esperienza di vita unica nel suo genere, da fare e che invita a riflettere sulle condizioni di vita estreme che si vivono da queste parti. L’accesso a qualche turista, come nel nostro caso, è consentito solo da poco come una delle “concessioni” del patto fra gli abitanti e lo Stato; piccole gocce in un oceano di degrado più che di povertà, ma sento di aver speso bene quei Real dati oggi anche solo per comprare due dipinti su tela e un paio di braccialetti fatti coi cavi del telefono. Il minivan riattraversa le trafficate strade di Rio, dove il contrasto con quanto visto solo poco fa è stridente. Passiamo per Ipanema prima e Copacabana poi, dove le grandi strade antistanti alle spiagge sono ora aperte al traffico, e infine rieccoci a Botafogo. Me ne sto seduto su uno dei divani del Misti ascoltando una musica lounge di sottofondo mentre riordino i miei appunti e i pensieri, controllato a vista dal micio di casa, che se ne sta accovacciato sul divano di fronte al mio, ma che in realtà, osservando meglio, se la sta dormendo alla grande! Prima che venga sera, con Gabriella torniamo verso la piccola Praia Vermelha, percorrendo a piedi la strada dai grandi e buffi alberi che da Botafogo, seguendo la costa, porta al piccolo quartiere di Urca, con le sue villette coloniali e i balconi fioriti, che mi fan sembrare lontano anni luce dall’ambiente della favela dove camminavo solo qualche ora fa. In spiaggia c’è poca gente, qualche famiglia. L’acqua è sporca, peccato perchè solo due giorni fa era linda, scherzi delle correnti. Le vicine funicolari continuano a trasportare gente fin su al Morro de Azucar e poi ancora al Pan de Azucar. Ora il sole, che prima era semicoperto, è tornato a splendere e a picchiare forte. Dopo un pò di ozio in spiaggia, mi incammino per un tratto lungo la pista Claudio Coutinho, un tratto asfaltato che sale lungo il Morro de Urca tra piante e alberi di alto fusto i cui possenti rami arrivano quasi fin sotto le rocce che danno a picco sul mare. Ho la fortuna di vedere da vicino, fra la vegetazione, anche un gruppo di “micos”, piccole scimmie dalla coda lunga e pelosa, coi piccoli al seguito; buffe. Il sole comincia a calare, ci incamminiamo nuovamente verso Botafogo, tanto che dopo una ventina di minuti appena, sono sulla sua omonima spiaggia, semi deserta, dove qualcuno si allena sull’arenile o sui numerosi attrezzi fissi, mentre la pista ciclabile è decisamente più animata. C’è chi attende paziente alle fermate degli autobus, mentre tra i palazzi, in lontananza, si vede il Corcovado con il Cristo Redentore che lo domina e alle cui spalle il sole sta ormai tramontando, illuminando con la sua calda luce il Pan de Azucar dalla parte opposta, di fronte alla spiaggia di Botafogo. Anche i palazzi dediti ad uffici si svuotano, e si riempiono invece i marciapiedi ampi e alberati di giovani impiegati dall’aria e le vesti borghesi; io e Gabriella ci rifugiamo per l’ultima nostra cena qui a Rio prima della partenza verso Manaus di domani, al Boteco de Praia: stasera nessuna partita in tv, e i tavoli sono più silenziosi che mai.


30 Ottobre


Con un’auto semi scassata procurata dal personale del Misti, sto attraversando la sconfinata periferia di Rio, tra zone industriali e favelas in lontananza, fino a prendere l’autostrada che porta all’aeroporto internazionale. Dopo poco più di mezz’ora l’autista lascia me e Gabriella all’hangar delle partenze locali, e da qui inizia la lunga attesa in vista del volo con destinazione Manaus, nello stato federale di Amazonas. Alle 12.17, puntuale, il volo della locale compagnia aerea Tam, decolla dalla pista; il cielo inizialmente nuvoloso, ora si sta schiarendo. 3h e 40m di volo, e poi ecco che, dal piccolo oblò, poco prima della fase di atterraggio, appare davanti ai miei occhi uno scorcio della grande Foresta Amazzonica, attraversata dal Rio Negro. Atterriamo, ma non c’è, come invece era previsto, ad attenderci qualcuno del Manaus Hostel Trip; dopo un pò di sorpresa, cerchiamo e troviamo un passaggio da un signore che era lì a prendere un’altra passeggera, una signora italiana, dalle origini calabresi, Mormanno, paese poco distante da dove è nata mia mamma; lei però vive qui in Brasile dove si trasferì all’età di soli 3 anni, ma un pò di italiano se lo ricorda ancora. Usciamo insieme dall’aeroporto, e subito una cappa di umidità ci accoglie quasi fino a togliere il respiro, questo è il benvenuto di Manaus. Il gentile signore che si è offerto di portarci col suo van in guesthouse per 40 R (10 in meno di quelli che avevamo pattuito con i tizi della guesthouse che non si sono presentati), ci offre delle provvidenziali bottigliette d’acqua. C’è traffico, per attraversare il centro ci mettiamo più di 20 minuti ma alla fine eccoci: salutiamo la signora calabrese che si fa una foto ricordo con noi. Il Manaus Hostel Trip è in posizione centralissima, è una casetta dalle pareti di color rosa, molto accogliente e caratteristica al suo interno, poco hotel e più famigliare e spartana come sistemazione, come piace a me, con bagni in comune e piccole stanze fornite di ventilatore e aria condizionata che però è attiva solo tra le 21 e le 7 del mattino, il tutto, colazione compresa, per 65 R. La giovanissima e bella ragazza della reception si scusa per l’inconveniente dell’aeroporto (macchina guasta), ma poco male, in viaggio una soluzione la si trova sempre. Sono a Manaus, la città simbolo e capitale dello stato di Amazonas! L’umidità è davvero insopportabile, i vestiti sembrano appiccicarsi alla pelle. Le differenze somatiche tra la gente del posto e quella di Rio de Janeiro salta subito all’occhio: qui sono indios, quasi tutti meticci e dai chiari lineamenti indigeni; la città è grande, gran parte delle vie del centro, verso il porto fluviale, sono occupate da una moltitudine di piccole bancarelle ombreggiate da colorati ombrelloni a spicchi gialli, rossi o blu, che vendono un pò di tutto, ma poco di veramente tipico. Dal lato opposto dei marciapiedi, affollati di gente, grandi negozi moderni dai quali fuoriescono folate di aria condizionata. I baracchini che vendono cibi e bevande (succhi di frutta e birra a volontà), sono sparsi un pò ovunque, coi tavolini in plastica all’aperto e la musica diffusa a volume non propriamente soft. Manaus in questa zona è un mix di case basse e fatiscenti, alcune coloniali, dai color pastello, che si mescolano, tra i numerosi cavi della corrente a cielo aperto, ad alti palazzi un pò fuori luogo. E’ una città strana, caotica, che ha il suo punto di oasi di tranquillità nella piazza del Teatro, chiusa al traffico automobilistico e presidiata da diversi agenti di polizia. La pavimentazione ricorda quella ad onde di Copacabana; da un lato della piazza la piccola chiesa in stile gotico, e di fronte il maestoso Teatro Amazonas, risalente al 1896, l’epoca d’oro della gomma, in cui Manaus e tutta l’area circostante vissero la loro massima espansione e sviluppo. Il Teatro, dalle pareti esterne color rosa salmone e i colonnati e le rifiniture colo panna, è proprio bello: al centro la grande cupola colorata che riprende le tonalità verdi e oro della bandiera brasiliana. La piazza è grande, qualche coppietta si rilassa seduta all’ombra sulle panchine, mentre una leggera musica d’opera viene diffusa dagli altoparlanti, creando una bella atmosfera; piccoli carretti vendono popcorn  o pannocchie fritte, il sole sta tramontando proprio alle spalle del grande Teatro, ma l’umidità non accenna a diminuire. Ci ritiriamo in stanza giusto in tempo, dopo aver cenato, evitando così un forte ed improvviso temporale, con l’acqua che sembra venire giù a secchiate. Fra poco in stanza si accenderà il condizionatore, unica arma contr questo caldo umido...


31 Ottobre


Il temporale di questa notte pare sia stato particolarmente violento a giudicare dai numerosi rami spezzati sparsi un pò ovunque lungo le strade; per terra è ancora bagnato e perfino fangoso in alcuni punti tra le bancarelle tutto attorno alla Catedral Metropolitana. Ci sono tanti calzolai improvvisati, una signora che misura la pressione arteriosa e perfino qualche coraggioso intento intento a farsi tatuare qui all’aperto. Compro un pò di frutta per il viaggio, fra poche ore infatti ci imbarcheremo per risalire il Rio delle Amazzoni fino a Belem, dove ancora non è chiaro se arriveremo dopo 4 o 5 giorni di navigazione. Alle 12, col l’aiuto di un bracciante che per 10 R ci porta i bagagli su un carretto a due ruote, io e Gabriella attraversiamo la banchina del vecchio porto di Manaus fino all’imbarco, affollato da piccoli camion intenti a scaricare merci, e tanti individui dall’aspetto assai losco. Tra le tante imbarcazioni c’è anche la nostra, la Amazon Star, una barca a motore di tre piani, non grandissima nè tantomeno nuova, con le staccionate bianche e blu che ricorda le vecchie navi del Mississipi nell’immaginario comune. Disbrighi burocratici a bordo e poi finalmente un’anziana signora alta poco più di un metro, ci conduce alla nostra cabina “suite”, la numero 06, al primo piano, subito a prua alle spalle della cabina di comando: 1,50 x 2 metri, minuscola, con piccolo bagno e doccia annessa, un letto a castello, un vecchio condizionatore un bel pò usurato e incrostato, e perfino un piccolo frigo che rende difficoltoso il passaggio. Al piano sottostante il grande spazio è occupato dalle amache, tante, coloratissime, una a fianco all’altra, sembrano quasi sovrapporsi, mentre sotto sono sistemati alla buona o legati al soffitto borse ed effetti personali della gente che affronterà qui i 4 o 5 giorni di navigazione; un modo molto affascinante, se solo non viaggiassi con la mia inseparabile attrezzatura fotografica. Al primo piano invece ci sono le piccole cabine, le cui porte in legno affacciano sui corridoi laterali, come la nostra, o su quello centrale, che portan tutti alla zona bar, uno spazio coperto con tavolini e sedie in plastica sparsi qua e là; a poppa un piccolo spazio aperto con le docce. L’imbarcazione non è certo moderna, ma è molto caratteristica: resto affacciato alla staccionata che dà sul molo, nel frattempo la nave si è spostata di qualche centinaio di metri fino al più popolare molo “terminal Ajato”. Osservo la gente salire, quasi tutti locali pieni di borse e bagagli; salgono e scendono in continuazione anche venditori di cibo, soprattutto frutta, ma anche di giocattoli, mentre giù continua il via vai di carico/scarico merci. Il piccolo molo, di color giallo e con qualche baretto, lentamente si svuota, rimangono attraccate oltre alla nostra, diverse caratteristiche imbarcazioni vuote, sullo sfondo della città di Manaus, creando un quadro suggestivo per i miei occhi (e i miei scatti). L’Amazon Star ormai è carica, ma senza un apparente motivazione, rimane ferma in porto per ore. Sull’ampio letto del Rio Negro passa qualche barca, perfino una che lentamente trascina dietro di sè una vera casetta di legno. Il tempo passa, quasi tutti lo ingannano curiosando ed esplorando la nave, noto davvero pochissimi stranieri a bordo, forse 4 o 5...Il sole comincia a calare mentre all’orizzonte si affacciano minacciosi nuvoloni scuri, forse è proprio questo il motivo dell’attesa. Sono le 17.08 quando, finalmente, la sirena annuncia la partenza: sto per cominciare la navigazione lungo il Rio Negro prima e il Rio delle Amazzoni poi, nel cuore della Foresta Amazzonica. Comincia a piovere, ma non per molto, ed il primo tramonto mentre ci lasciamo Manaus alle spalle è di quelli da togliere il fiato. Qua al nord del Brasile viene buio presto, e purtroppo la scarsa luce non permette di ammirare al meglio poco dopo la partenza lo spettacolare incontro tra le acque blu e quelle color marrone terra dei due fiumi; navighiamo ora lungo il letto del Rio delle Amazzoni, per seguirne il corso fino alla sua foce. Ora è buio, buio totale, sembra impenetrabile la notte. Compriamo a bordo la cena, che consiste in un piatto di alluminio con della carne, del riso ed un pò di insalata, che consumiamo su uno dei tavolini di plastica della zona bar in compagnia di Picone, un bizzarro e chiaccherone signore di origini italiane, in compagnia di sua moglie: lui, cappello in testa e pancia da buona forchetta, ci offre del vino che si è prtato a bordo, e chiaccheriamo piacevolmente mentre dalle grandi casse del bar viene sparata musica ad alto volume. Fortuna che c’è un pò di venticello, ma all’improvviso si ferma tutto: il canale della tv smette di trasmettere video musicali e si sintonizza in diretta sulla partita del campionato brasilero Atletico Mineiro - Flamengo. In diversi, tutti concentratissimi, sistemano le seggiole di fronte allo schermo, qui il calcio è un affare serio! Anche in Amazzonia a quanto pare. Intanto continua la navigazione, e il buio pesto è ora interrotto solo dal fascio di luce riflesso sull’acqua di una luminosa luna piena. Notte di navigazione sul Rio delle Amazzoni, notte da viaggiatori...


1 Novembre


Il sole sorge prestissimo da queste parti, alle 6 non appena metto piede fuori dalla piccola cabina, è già alto nel cielo. La Amazon Star procede lungo il Rio, che ora la luce del giorno mette in mostra, col suo tipico colore marrone terra e in tutta la sua maestosità: in alcuni punti l’ampiezza del suo letto è tale che si nota appena in lontananza la striscia verde della costa che delimita la foresta, che appare invece più vicina in altri tratti. Il Rio delle Amazzoni, uno dei fiumi più grandi e affascinanti, i suoi numeri dicono tutto: nel periodo di massima portata raggiunge anche i 40 km di ampiezza e immette nelle acque dell’Oceano Atlantico 300 milioni di litri di acqua dolce al secondo. Faccio un giro per la barca, al piano inferiore, nella sala delle amache la gente di ogni età si sta risvegliando, mentre poco oltre, a poppa, in un piccolo spazio al chiuso, viene servita la colazione a buffet per 5 R (ottima e fresca frutta, pane e formaggio, caffè e latte. Fa già caldo e sono solo le 8 del mattino; un gruppo di bambine e bambini gioca a rincorrersi, inevitabile che mi fermi con loro a giocare e a scattare foto, il chè li diverte un mondo; un bambino coi dentoni da castoro, ormai si è auto assunto come mio aiutante fotografo! Intorno alle 12.15 l’imbarcazione fa la sua prima sosta e attracca brevemente al piccolo porto di Parnitius, brucolante di venditori di cibo che subito ne approfittano per salire a bordo mentre viene scaricata e caricata altra merce. 20 minuti e si riparte, lasciamo il porticciolo e ci rimettiamo in fiume aperto. Siamo ai margini dello Stato di Amazonas, fra non molto entreremo in quello di Parà; l’umidità è soffocante, non so come facciano a correre questi bambini, per me le tappe nella piccola cabina refrigerata dal rumoroso condizionatore sono inevitabili. I brasiliani sono grandi chiaccheroni, basta affacciarsi lungo una balaustra che da sui corridoi laterali per ammirare il paesaggio in movimento, che facilmente si finisce col scambiare qualche parola. Poco prima delle 17 ecco il secondo attracco: al piccolo porto di Juruti, una stretta striscia di terra con qualche palafitta in legno e una discesa in terra battuta che porta alla banchina. C’è già attraccata un’altra imbarcazione che sta scaricando e caricando genti e merci, e sul molo pile infinite di lattine di birra pronte ad essere caricate, e i soliti indomiti venditori di cibo pronti a salire. Anche stavolta la sosta è breve, giusto il tempo di scaricare scatoloni di riso e farina e di ammirare poco distante, i piccoli delfini di acqua dolce che nuotano saltando col dorso fuori dallo specchio d’acqua della baia. Si riparte. Un paio di bambine, di 10 e 8 anni, dagli occhi grandi e nerissimi, non si separa un attimo da me, sono curiose soprattutto della macchina fotografica; il sole comincia a calare, lentamente, così come il tempo che scorre. Il tramonto che ammiro dalla poppa della barca è grandioso, il sole rosso fuoco scompare dietro a strisce  di nubi di un blu intenso, creando effetti magici di luce che riflette sulle acque mosse dalla scia del motore della barca stessa. In questo tratto di navigazione, il letto del Rio è ampio, ed è uno spettacolo naturale unico. Ora, mentre per 7 R ceno con una porzione di pollo fritto, fuori è diventato buio e si alza una leggera e benvenuta brezza, finalmente. Il cielo è stellato, le stelle sono tantissime e luminose; sono passate da poco le 21 ora locale dello Stato di Parà dove siamo entrati da poco (1 in più rispetto a quello di Amazonas), e l’imbarcazione getta le sue spesse corde sul molo della cittadina di Obidos per il terzo attracco: qualche famiglia scende qua, ma stavolta, anzichè casse di birra, a salire sono una dozzina di poliziotti in mimetica grigia, con un cane antidroga, mentre agenti della Polizia Federale controlla i documenti della gente a bordo e perquisisce sommariamente le cabine, compresa la nostra. Sosta lunga, ma la mia giornata finisce qui, e ancora prima che la Amazon Star riprenda la sua navigazione notturna, salgo sul mio piccolo letto a castello e buonanotte.


2 Novembre


Seconda notte passata in navigazione, c’è una bella alba sul Rio delle Amazzoni questa mattina; alle 7.30 la Amazon Star arriva al porto di Santarem, la cittadina più grande che si incontra lungo il corso del fiume. Questa sarà la tappa più lunga, l’imbarcazione resterà qui ferma per almeno 4 ore. Scendo dopo quasi due giorni a bordo, come quasi tutti quelli a bordo, sulla semideserta banchina in cemento, posta a lato di un grande impianto industriale, e mi dirigo insieme a Gabriella in direzione del piccolo spiazzo dove sono fermi tre taxi: contratto e per 90 R (andata e ritorno più attesa), ci facciamo portare ad Alter do Chao, una piccola cittadina poco distante da qui. Poco più di mezz’ora di strada asfaltata, tra piccole e semplici case di campagna ai margini della Foresta Amazzonica, costruite sulla terra color rosso, e popolata da gruppi di avvoltoi neri di media taglia. Sono ad Alter do Chao, è ancora presto, sono da poco passate le 8 e in giro poca gente. Alter do Chao è famosa per le sue spiagge sabbiose che delimitano un tratto balneabile del Rio Tapajos, uno degli affluenti del Rio delle Amazzoni. Il cielo è coperto, guado camminando nell’acqua  e sul fondale melmoso, il piccolo tratto che porta alla Ilha do Amor, una lingua di sabbia bianca, nel cui tratto iniziale sono posti una serie di chioschi ancora chiusi, con tavolini e ombrelloni gialli direttamente affacciati a riva. E’ bizzarro passeggiare a piedi nudi nelle acque di questo che sembra un mare, ma in realtà è ben altro, e l’Oceano dista da qui quasi un migliaio di Km! Arrivo fino alla parte di isola popolata dalle piante di mangrovia, con le loro grandi radici che fuoriescono dalla sabbia; è stata una lunga passeggiata, ora me ne torno verso la terra ferma, facilmente raggiungibile vista la bassa marea, e infatti ora vedo qui un pò di gente, soprattutto turisti locali, che cominciano ad arrivare qui. Il sole esce a tratti, semi nascosto tra le nuvole, ma il caldo umido si fa sentire lo stesso. Un breve giro dei locali negozi di souvenir posti attorno alla piccola piazza capeggiata da una chiesa color ocra, e poi di nuovo sul taxi che ci ha aspettato e ci riporta al porto in orario, anzi in anticipo. C’è infatti da aspettare un altro pò prima di poter risalire a bordo, e finalmente alle 12.30, tre lunghi e forti suoni di sirena annunciano la ripartenza. Ma una volta a bordo, passa un’altra mezz’ora prima che anche l’ultima grande corda venga sganciata dalla banchina permettendo alla Amazon Star di salpare definitivamente dal porto di Santarem. Riprendiamo la navigazione, il paesaggio scorre, così come il fiume, sempre uguale e per lunghi tratti monotono. Vago tra un ponte e l’altro della barca, noto qualche volto nuovo a bordo; l’area amache, sempre affollata e coloratissima, comincia ad avere un certo odore di “vissuto”. A bordo della Amazon Star, di stranieri oltre a me e Gabriella, ce ne sono pochi: una anziana coppia di colombiani, un portoricano con la sua moto, un portoghese e un giovane tedesco, e forse chissà, qualcun’altro ben mimetizzato fra i locali con cui ancora non c’è stata occasione di scambiare parola. Dallo spazio bar, qualcuno osserva il fiume seduto sulle sedie di plastica posizionate stile cinema, e ovviamente quasi tutti se ne stanno dal lato ombra, altri invece giocano a carte. I bambini a bordo oggi sembrano più mansueti o anche loro cominciano ad accusare la stanchezza del viaggio; e intanto la barca va...In questo tratto di navigazione il letto del Rio è molto ampio, sembra di navigare in mare aperto, le rive sono lontane e solo in alcuni tratti si intravedono lembi di terra verde con qualche animale al pascolo. Scende la sera, il cielo coperto stavolta ha nascosto lo spettacolo del tramonto; ritiro per i soliti 7 R la cena, stavolta manzo, riso e spaghetti scotti con qualche patatina fritta, che consumo vista Rio delle Amazzoni con sottofondo di musica samba trasmessa incessantemente dalle casse. Ci sediamo poi a poppa, dove tira un bel venticello,  insieme al simpatico e chiaccherone Alejandro in compagnia di sua moglie Teresita, i quali ci offrono da bere un cocktail fatto al momento: zucchero, cajaxa (un liquore brasiliano) e caju pestato, un frutto di cui fino ad oggi ignoravo l’esistenza, tipico di questa zona e che han comprato oggi al mercato di Santarem. Chiaccheriamo in spagnolo, si uniscono a noi anche David, un giovane boliviano meticcio, e un’altro ragazzo argentino di Cordoba, diretto a Fortaleza a cercare lavoro. Intanto attracchiamo brevemente al porto di Monte Alegre, pochi minuti e si riparte, mentre ci lasciamo alle spalle le luci della piccola cittadina che a poco a poco si allontana, sembrando una serie di tante piccole fiammelle che vanno spegnendosi. Il nostro improvvisato tavolo multietnico si scioglie, è giunta l’ora di andare a dormire, cullati ancora una notte dalle acque del Rio delle Amazzoni.


3 Novembre


Vengo svegliato alle 5.30 del mattino, di soprassalto, dal potente suono della sirena, segnale che stiamo attraccando in qualche porto; stanotte c’è stato un forte temporale, e ora fuori il cielo è coperto e le acque color marrone del Rio sono piuttosto agitate. Procediamo lenti, controcorrente e controvento, con una temperatura finalmente tollerabile, tanto che qualcuno indossa perfino maglie a manica lunga. La colazione servita al piano inferiore a poppa, è ricca di buona frutta, e anche qui in questo locale sono affisse, come in altre parti della barca, targhe che riprendono sermoni religiosi scritti in lingua portoghese: “O senor è o meu Pastor, nada me faltarà” e ancora “Tudo è forca mas so Deus es Poder” scritto sulla prua a grandi caratteri. Navighiamo più vicino alla costa, che ora da uno dei due lati non dista più di 300 metri, rendendo ben visibili gli alti e stretti fusti della Foresta verde; nello spazio bar , al riparo dal vento, dove mi rifugio a scrivere osservando il panorama, gruppi di uomini giocano a carte e a domino, con musica stavolta diffusa a basso volume, spesso sovrastata dalle risate e dal vociare della gente a bordo. Le acque del fiume sono sempre più agitate e il vento non accenna a diminuire. Attracchiamo al piccolo e pittoresco porto di Gurupà, fatto di palafitte di legno e con alcune lunghe e basse barche ormeggiate che fanno da abitazione, con i panni stesi sul ponte ad asciugare e le immancabili paraboliche che stridono in mezzo a tanta semplicità. Sale un pò di gente, tra questi anche un agente di polizia che accompagna un detenuto, mani e piedi ammanettati: entrambi si sistemano in una delle cabine vuote del corridoio. Attorno alla Amazon Star remano tre barchette in legno con su delle donne Indios coi loro bambini, la sosta è breve, ripartiamo proprio mentre il sole torna a splendere e ad accendere il verde intenso della Foresta che ora costeggiamo a poca distanza. Le acque però continuano ad essere agitate e procediamo a rilento; scambio qualche chiacchera prima con Martin, il ragazzo argentino, e poi con la bella Hilary, una giovane e timida ragazza brasiliana salita a bordo a Santarem insieme alla madre, con indosso la maglia della sua squadra di calcio, il Vasco da Gama. Insieme anche alla zia, sta andando a trovare la sorella a Belem. Sotto alcuni tavoli della zona bar intanto si accumulano quantità enormi di lattine vuote di birra, gli uomini locali bevono parecchio per far passare il tempo, ma proprio quando fuori il paesaggio sembra sempre noiosamente uguale e meno me lo aspetto, ecco che all’improvviso, all’altezza dell’arcipelago di Marajo, da delle piccole palafitte in legno site a riva, distanti qualche centinaia di metri l’una dall’altra separate dalla fitta vegetazione, ecco avvicinarsi alla nostra imbarcazione piccole canoe in legno : sono diverse, e in più punti del fiume. Sono Indios, quasi solo donne e bambini, i quali, agitando le mani, fanno degli strani versi urlati: e dalla Amazon Star, soprattutto dal piano amache popolato dai locali, vengono lanciati giù in acqua dei sacchetti di plastica chiusi e penso pieni di provviste o doni, in modo che poi le canoe degli Indios li possano recuperare; e così per un lungo tratto di navigazione, la scena si ripete, appena si vede una palafitta, si vede già anche la canoa che si avvicina alla nostra barca, decisamente una inaspettata e piacevole sorpresa! Ma non è finita: ad un tratto una di queste barchette in legno viene pericolosamente quasi sotto la scia della nostra grande barca a motore, e improvvisamente i ragazzini che remano accellerano quasi a buttarvisi dentro! Momenti di panico tra chi, come me, non avendo mai visto una scena simile, teme che la barca sia finita tra le eliche a motore, ma invece, con un’azione ai limiti dell’impossibile e rischiosissima, la piccola barca di legno, allaccia al volo una spessa corda alla Amazon Star, mentre cerca di non capottarsi nella scia del motore; Intanto, mentre uno dei ragazzini tiene la corda attaccata alla Amazon, altri tre...bambini, e non acrobati professionisti ( la più piccola non avrà più di 7 anni e il più grande 14), scalzi, salgono sulla Amazon,  arrampicandosi sempre tenuti ad una corda con una sola mano, mentre nell’altra tengono dei barattoli pieni di gamberetti e di palmito da vendere a bordo suppongo; un vero e proprio ammaraggio da pirati! Davvero incredibile, una cosa mai vista, il tutto in pochi secondi, un’azione repentinea e coraggiosa compiuta con una naturalezza impressionante! Appena ho visto la barchetta accellerare nella rematura ho temuto il peggio per loro! Continuiamo la navigazione, più vicini alle sponde anche perchè entriamo lungo il corso di uno dei numerosi affluenti del Rio, per poi ricongiungerci ad esso più avanti, e qui incrociamo un paio di lunghe chiatte, enormi, che trasportano tir e container, d’altronde, e per fortuna, il fiume è una delle poche vie di trasporto di persone e di merci all’interno della Foresta Amazzonica. Ora gli alberi e le alte palme di Acaj si vedono bene e creano una alta e impenetrabile parete verde: è la Foresta Amazzonica vista da vicino, la foresta più grande e vitale per il nostro pianeta sempre più cementificato. Ora si sentono bene anche i versi degli uccelli, affascinante. Il sole tramonta tra gli alberi, peccato che è già buio fitto quando la Amazon Star passa proprio a ridosso della Foresta, stavolta a non più di 20 metri, e si vedono bene le poche palafitte a gruppi di tre o quattro, illuminate dalle lampadine; poco oltre, breve attracco a Breves, che sembra una cittadina piuttosto animata, musica e giovani sul lungo porto e una grande statua della Madonna: questa è l’ultima sosta prima di Belem. Il cielo stellato nel buio della notte è uno spettacolo unico, da lontano, come se sorgesse, la luna dapprima di un rosso stupendo, sale fino a diventare una palla di luminosa luce bianca; è l’ultima notte di navigazione qui sul Rio delle Amazzoni, e me ne sto seduto sul ponte a guardare questo spettacolo della natura, chissà quante altre volte mi capiterà. La barca lentamente si svuota, tutti si ritirano nella propria amaca o cabina, ma nonostante ora tiri un vento freddo, paradosso per essere in Amazzonia, continuo a restarmene qui, seduto, col naso all’insù in questa ultima notte amazzonica...


4 Novembre


Sole, forte vento  e onde ancora più alte che fanno un pò ballare la Amazon Star: sembra di nuovo di essere in mare aperto talmente è ampio il letto del Rio in questo tratto. A bordo c’è un pò l’aria da ultimo giorno di scuola, dopo ore e giorni di navigazione insieme, almeno di vista ci si conosce un pò tutti, e con alcuni si è chiaccherato o condiviso un pasto: penso all’istrionico Alejandro sempre col suo cappello in testa e a sua moglie Teresita, entrambi pensionati, a David il ragazzo boliviano, Martin l’argentino e alla bella Hilary, e penso ai bambini con cui ho condiviso tanto tempo giocando in queste giornate...una di loro mi abbraccia forte per salutarmi. Nello spazio delle amache si sta smobilitando, ormai ne restano poche appese; sono le 9.30 quando all’orizzonte si comincia a vedere la lunga striscia di grattacieli della città di Belem, capitale dello Stato di Parà e meta finale di questo viaggio, qui dove il Rio delle Amazzoni poco oltre sfocia nell’Oceano Atlantico. Dopo 40 minuti la Amazon Star entra nella baia di Guajara e attracca al porto cittadino, una grande ed anonima struttura in lamiera, un pò fatiscente, con a lato pile di container e poco distanti, alle spalle, gli alti grattacieliche prima si intravedevano solo in lontananza. Sono a Belem. Scendo per l’ultima volta dalla Amazon Star, zaino in spalla, ed è il momento dei saluti, degli abbracci e delle ultime foto insieme ai bambini, i miei migliori compagni di questa avventura lungo il Rio delle Amazzoni. Un altro sogno che covavo da tempo si è realizzato, un pò mi dispiace che finisca qua, ma è giusto e logico così. io e Gabriella cerchiamo un taxi e ci facciamo portare all’Hotel Amazzonia, in Rue O’Almeida: la bellissima e giovane ragazza alla reception di questo piccola guesthouse in legno, ci consegna la chiave della nostra semplice camera dai soffitti e il pavimento sempre in legno e un piccolo bagno pulito. Anche l’hotel è semplice e colorato, con soppalchi e una cucina di uso comune. Non avevamo prenotato dall’Italia e ci è andata bene a quanto pare, visto che i ragazzi che arrivano dopo di noi, non trovano posto. Belem mi appare subito strana come città: è domenica, e le strade sono deserte, le case coloniali fatiscenti, alcune dall’aspetto decadente ed altre che paiono appena verniciate a nuovo, che si mescolano con anonimi ed ingrigiti palazzi, e ancora palme e alti alberi di mango dai fusti enormi che sembrano farsi strada tra i grovigli di cavi dell’alta tensione, e diversi senza tetto che bivaccano sui cartoni improvvisati come letto. Solo Placa da Republica sembra animata, col suo parco pieno di bambini che giocano, venditori di pop corn, cocco e palloncini colorati attorno ad un interessante mercato artigianale fatto di piccoli banchi all’ombra di teli verdi, che vendono un pò di tutto e ovviamente mi ci butto a fare spese. Dall’altra parte della città, dove ci incamminiamo dopo una tappa in camera, verso il Rio, la situazione è completamente diversa: c’è uno strano centro commerciale in piano, ricavato da tre vecchi magazzini, riammodernati all’interno con eleganti ristoranti a buffet, gelaterie e veri negozi di artigianato, il tutto all’ombra e con aria condizionata; dall’interno delle vetrate un pò retrò si vede il Rio delle Amazzoni, con le sue acque ora parecchio agitate dal vento che si è levato, e la passeggiata di cemento che lo costeggia, tra le gru gialle eredità del vecchio porto commerciale, ora simbolo della città, e testimonianza, insieme ad una vecchia locomotiva restaurata, del fiorente passato della città. Faccioo anche io poche decine di metri lungo questa passeggiata orlata dalle palme di caj, e poco oltre arrivo al mercato Ver o Peso, l’altro simbolo di Belem, il vecchio Mercato: molti dei banchi ortofrutticoli sono chiusi, aperti invece e pieni di gente un pò alticcia, soprattutto uomini, sono i numerosi chioschi che servono birre e bibite fresche. In uno di questi chioschi, un gruppo di uomini si esibisce con gli strumenti in coinvolgenti melodie brasiliane, il posto però non mi appare propriamente sicuro, come gran parte della semi deserta città di oggi, dove è perfino difficile trovare un posto dove mangiare, è tutto chiuso. Così entriamo in un supermercato moderno e aperto, e facciamo una piccola spesa per la cena e per la colazione di domani: Gabriella si offre di preparare alla cucina comune della guesthouse, spaghetti aglio e peperoncino. Torniamo e ci mettiamo ai fornelli, ci siamo solo noi; la pasta di produzione locale in sè non è un granchè, ma il condimento merita.


5 Novembre


Di lunedì Belem è tutta un’altra città: c’è gente in giro ovunque, lungo i marciapiedi e alle fermate degli autobus, il vecchio mercato Ver O’Peso è un brulicare di persone  intente in mille attività, tipi loschi, e i mille colori e profumi dei banchi arrugginiti che vendono dalla frutta esotica alla verdura, dalle amache e artigianato locale, alle magliette delle squadre di calcio; c’è anche una zona al coperto, separata, dove si vende il pesce appena pescato e piccole bottigliette di intrugli e pozioni dai colori bizzarri. Sul marciapiede che affaccia sulla strada, uno accanto all’altro, ci sono carretti di legno con venditori di cocco, noci brasiliane e bibite tenute al fresco in grossi contenitori di polistirolo. Si, oggi la città è viva e ha tutto un altro aspetto: il Ver O’ Peso non si può certo definire un luogo dove passeggiare sicuri, ne tantomeno rilassati, ma è indubbiamente pittoresco e con un certo fascino. Poco oltre al mercato c’è un piccolo vecchio porto, parecchio degradato, con le imbarcazioni da pesca, in legno verniciate di colori accesi, e alcuni pescatori che dormono sui ponti. Al posto dei gabbiani che in genere popolano i porti, qui ci sono stormi di neri avvoltoi che svolazzano tra la banchina e i tetti delle case coloniali adiacenti. Tanto degrado in questa parte di città, spazzatura ovunque, e, cosa non proprio rassicurante, poliziotti che presidiano muniti di giubbetti antiproiettile. Però almeno di giorno, la zona è molto animata e l’unico rischio che si avverte è quello dei possibili borseggiatori, per cui meglio sempre avere gli occhi bene aperti. Arrivo a piedi alla Cattedrale cittadina, tutta bianca e con i suoi due grandi  campanili e un interno sfarzoso arricchito da grandi dipinti d’epoca. Oggi abbiamo a disposizione l’intera giornata, avremo l’aereo per il rientro a Rio de Janeiro in piena notte, all‘ 1.50 am; i nostri zaini sono all’hotel Amazonas (per 4 R), quindi non ci rimane a me e Gabriella che tirare sera girando per la città. Entriamo nei magazzini dell’Estacao dos Docos, il bizzarro ed elegante centro commerciale ricavato qui di fronte al Rio: pranziamo a buffet al “Mercato Bio” provando buone e sfiziose specialità rigorosamente biologiche. La differenza fra qui e il Mercato Ver O’ Peso è impressionante , sono uno a fianco all’altro, e al di là delle strutture (uno pulito, nuovo e con aria condizionata, l’altro vecchio, sporco e fatiscente ma colorato e vivace) ciò che colpisce è proprio la diversità della gente che li frequenta: qui all’Estacao, famiglie con passeggini, coppie di giovani e meno giovani tutti vestiti bene, mentre al Ver O’ Peso si trova di tutto, soprattutto meticci dai lineamenti indigeni, gente che dorme mezza nuda tra i banchi, insomma, sembra di essere in due città diverse, a distanza solo di poche decine di metri..distanza che ripercorriamo più volte per vivere meglio queste contraddizioni. Ci addentriamo poi oltre il vecchio porto peschereccio, arrivando ad un piccolo antico bastione, un avamposto con ancora i grandi cannoni in ottone puntati verso la baia, e poi ancora oltre tra piazzette un pò abbandonate, all’ombra di grandi alberi di mango, bellissimi, che si trovano ovunque qua per le strade della città, anche se a continuo rischio di caduta frutti, e un mango in testa non deve essere una piacevole esperienza. Si alza un improvviso vento forte, che agita le acque marroni del Rio proprio mentre una grande nave mercantile sta entrando nel porto; ma anzichè far cadere i manghi, il vento porta un’altrettanto improvvisa pioggia, mentre il cielo, a parte un unico nuvolone nero, è ancora azzurro e splende un forte sole! Bizzarro, ma qui, in una delle zone più piovose al mondo, la gente è abituata e questa pioggia non la scompone più di tanto; smette quasi subito, ci ripariamo comunque nell’Estacao a prendere un buon gelato al gusto di goiaba, e fuori, neanche a dirlo, ricomincia a piovere a folate trasportate dal vento, col sole che splende. Ultimi acquisti, ultimi pollici alzati in segno di saluto e ringraziamento, e ora questo clima bizzarro dopo la pioggia ci regala un grande arcobaleno come preludio all’ultimo spettacolare tramonto qui affacciati sul Rio delle Amazzoni, le cui acque agitate si infrangono con alte onde contro i copertoni messi a protezione del molo; il sole dipinge di rosso anche i contorni dei nuvoloni che prima sembravano minacciosi, rendendoli quasi romantici, tanto che qui, di fronte all’Estacao dos Docos, diverse giovani coppie amoreggiano sedute sulle basi delle gru gialle simbolo della città. Non poteva esserci miglior congedo per quest’ultima sera qui in Amazzonia. Viene buio, Avenida Presidente Vargas è trafficata di auto e bus locali, è ora di punta e noi rientriamo a piedi in hotel a ritirare gli zaini e a prendere un taxi, gentilmente chiamatoci dalla bella receptionist. Nel traffico infernale della città, ci dirigiamo per la lunga attesa all’aeroporto di Belem.


6 Novembre


Notte completamente insonne tra attese in aeroporto, e volo. Sono le 7 del mattino quando in taxi sto attraversando l’immensa periferia di Rio de Janeiro dove siam da poco atterrati, con baraccopoli a cielo aperto fatte di case basse con mattoni a vista e tetti in lamiera. L’autostrada che conduce alla città è abbastanza trafficata, così come le vie stesse della metropoli con la gente che si reca chi al lavoro, chi a scuola. Arriviamo alla vecchia e grande stazione degli autobus Rodoviara Novo Rio, strutturata su due piani, con negozi e bar: facciamo il biglietto e saliamo sul comodo e moderno pullman della compagnia Costa Verde, diretto a Parati, località affacciata sull’Oceano e distante 240 km a sud di Rio. Oggi lunghissima giornata di spostamenti, sono in ballo da ieri sera e non vedo l’ora di arrivare a destinazione. Il pullman alle 8 puntuale parte, uscendo dalla stazione e passando accanto alle enormi gru del porto industriale. Una volta usciti dalla città, il paesaggio attraversato diventa subito pittoresco, costeggiando da un lato la selva montagnosa piena di alberi di banane, mucche e cavalli e con di rado qualche piccolo paese arrampicato sulle colline, e dall’altro offrendo belli scorci di baia sull’Oceano. Sono stanco, son quasi 40 ore ormai che non chiudo occhio, il viaggio sembra interminabile: a bordo del pullman c’è poca gente, giusto qualche turista. Facciamo qualche breve fermata lungo la strada, rallentata da una serie eccessiva di dossi artificiali, ma finalmente dopo 4 ore, sono nella piccola città dina di Parati. Zaino in spalla e sotto un caldo asfissiante nonostante il sole sia semi coperto, ci dirigiamo a piedi fino al Misti Chill, una piccola pousada affacciata sulla spiaggia, della stessa catena del Misti dove avevamo pernottato a Rio de Janeiro: Camera semplice con bagno, la numero 6. La piaggia è piccola, ma graziosa, riparata da un lato da un piccolo promontorio, i chioschi alle spalle con tavolini e sedie direttamente sulla sabbia, all’ombra degli alberi dove sonnecchia anche un piccolo branco di innocui cani randagi; per fortuna c’è poca gente. Il centro storico dista pochi passi, una volta attraversato un piccolo ponte, ovunque l’atmosfera è rilassata, le strade acciottolate in pietra del centro sono chiuse al traffico, ed è complicato camminarci senza scarpe comode a meno che non si voglia fare un massaggio plantare camminando: anche qui almeno per ora, poca gente a passeggio, qualche turista e un paio di carretti trainati da cavalli. Parati è piccola, e ora che viene sera le sue stradine illuminate dalla luce delle lanterne artificiali, si animano di più di vacanzieri a passeggio tra i ristoranti (tutti con una certa atmosfera e alcuni con musica locale dal vivo) e i tanti negozi di interessante artigianato locale. La tranquillità di Parati me la godrò sicuramente meglio domani, dopo un’ottima cena con brani di Toquino suonati dal vivo da un giovane brasiliano, ma soprattutto dopo una lunga dormita!


7 Novembre


Quanto è piacevole uscirsene al mattino presto sulla spiaggia ancora deserta, nel silenzio interrotto solo dal suono della risacca e dal canto degli uccelli. Me ne sto da solo, una mezz’ora qui, a riva, in compagnia del branco di cani di ieri, intenti a giocare tra loro. Anche se sono solo le 7 il sole è già alto in cielo, nascosto dietro ad una coltre di nubi blu che creano una luce mistica, riflessa sulle acque che sembrano di colore argento: l’alba, come il tramonto, sono sempre due momenti ricchi di magia... In lontananza le campane di una chiesa rintoccano le 8, e le prime voci interrompono questo bel silenzio; arriva anche Gabriella, insieme facciamo colazione a base di ottima frutta fresca, servita direttamente al chiosco di fronte al Misti Chill, vista mare. Ora che il sole si è fatto largo tra le nuvole, ne approfitto per continuare a fare foto in città mentre Gabriella se ne sta in spiaggia. Parati è un posto turistico, ma anche oggi sembra davvero molto tranquillo, e soprattutto a differenza del vero Brasile, per nulla pericoloso, tanto che si può girare con la macchina al collo senza problemi, finalmente. Il centro coloniale di Parati è molto bello, le strade in pietra come una volta; le basse case dai tetti in tegola a spiovere, di un solo piano e di un bianco acceso, coi colori pastello delle porte in legno e degli infissi delle finestre che le rendono tutte pittoresche, così come le piccole e antiche chiese e gli angoli all’ombra di alti alberi fioriti o palme, il porticciolo turistico, e lo sfondo dei promontori ricoperti da fitta vegetazione. Si Parati è molto fotogenica. Me ne sto un pò seduto all’ombra di un grande albero, su di una panchina di fronte alla Iglesia Nossa Senhora de Remedios Matriz, ad osservare e godermi i lenti ritmi locali: qualche turista a passeggio, una donna che con la sua divisa color verde spazza le foglie cadute, e gli immancabili cani randagi, veri signori della cittadina, ma anche loro contagiati dalla tranquillità del luogo. I negozi e le botteghe artistiche lentamente aprono esponendo le loro merci, passeggio e scatto foto, e me ne torno così poi verso la spiaggia a concedermi un succo fresco di cocco appena tagliato. Un pò di vacanza relax a fine viaggio ci sta sempre. Torno a passeggiare per le piccole vie del centro, sulle scomode pietre rese anche viscide da una pioggerellina fine che cade ad intermittenza; su dei carretti in legno alcuni vendono porzioni di dolci e pasticcini, e ovviamente non me li lascio scappare, le torte al maracuja e cioccolato sono squisite. Il tempo in questi ultimi giorni scorre così, tra qualche acquisto e relax, fino a tornare al Misti Chill, dove c’è sempre una musica reagge di sottofondo, che qui si addice ben poco! Preferirei ascoltare la risacca e il verso dei grilli e delle cicale che concertano poco distante. Il mare fuori è calmo, e lo sono anche io.


8 Novembre


Premetto: a me la musica reagge non dispiace affatto, ma mi domando perchè qui al Misti in quest’oasi di pace si ostinino a mandarla ininterrottamente? tant’è, stamattina dalle 7 mi sono ancora goduto la solitudeine della spiaggia deserta, oltre a me c’era solo un uomo che portava a spasso il suo cane, mentre il branco di altri cani che qui fa pianta stabile, ancora se la dormiva sparso sotto gli alberi e sulla sabbia. Ora anche loro si sono svegliati, ed elemosinano coccole da chiunque qui al chiosco dove si fa la colazione. Ultima mattina qui a Parati, le cui caratteristiche stradine del centro storico sono oggi addobbate a festa, con bandierine gialle e blu appese da un lato all’altro delle vie. Ultime passeggiate a curiosare tra i negozi,e l’ultimo cocco bevuto fresco sulla spiaggia, prima di riprendere lo zaino in spalla e dirigermi insieme ad Gabriella verso la piccola e animata stazione degli autobus. Qui, nell’attesa che arrivi il pullman della Costa Verde diretto a Rio de Janeiro, intrattengo due chiacchere con un uomo davvero singolare, un hippie del posto, scalzo, di una certa età, dai lunghi capelli e barba biondi: si definisce cittadino del mondo, e a quanto racconta, il mondo sembra conoscerlo davvero. Ci salutiamo con un fraterno abbraccio, si porta la mano alla fronte in segno di buona fortuna, prende il suo zainetto e se ne va, chissà diretto dove...questo affascinante personaggio. Nel frattempo arriva il pullman, che, puntuale, alle 15.30 parte lasciando la tranquilla Parati e immettendosi lungo la strada costiera che attraversa la maestosa, fitta e rigogliosa foresta che si arrampica sugli altipiani. Qualche breve sosta lungo il percorso, compresa quella alla cittadina di Angre do Reis, dove il pulmann si riempie, fino ad arrivare così, dopo quattro ore e mezza di strada, a Rio quando è già buio. In taxi, attraverso la città illuminata, con in lontananza il Cristo Redentore di un bianco accecante che lo fa apparire come un fantasma sospeso nel cielo, e le mille piccole luci delle favelas, ci facciamo riportare al quartiere di Botafogo, e da qui torniamo al Misti. Rio non è Parati, per le strade c’è tanta gente, e mi chiedo se ora che qui ancora non è estate e tutti sono in giro in canottiera ed infradito, cosa metteranno quando l’estate vera arriverà? Insomma, giornata di domande idiote che non trovano risposta in questa ultima noche brasiliana.


9 Novembre


E’ il giorno della partenza, sono al Misti là dove era iniziata due settimane fa questa avventura, e dove oggi si chiude. Tutto finisce là dove inizia, e usando le parole del grande Tiziano Terzani, “la vita è come un cerchio che si chiude”, e un viaggio, nel suo piccolo, è un pò una vita, un’esperienza con un inizio e una fine. Le soffuse note di Nora Jones mi accompagnano in quest’ultima colazione a buffet: ho tutta la mattinata davanti, e dopo aver definitivamente sistemato lo zaino, esco con Gabriella a passeggiare sulla spiaggia di Botafogo, di fronte alla sua piccola baia colma di barche ormeggiate. Lungo la pista ciclabile c’è sempre qualcuno che fa jogging, noi la percorriamo tutta fino ad arrivare alla spiaggia di Flamenco, più grande e aperta quindi balneabile: qui qualcuno prende il sole mentre i piccoli chioschi aspettano i clienti. Il tempo di una veloce spesa per finire le ultime monete, un panino al formaggio mangiato seduti ad un ristorante, e arriva l’ora di prendere il taxi in direzione dell’aeroporto. Mentre l’auto percorre la strada, passando accanto ad una grande favela (Compexo do Alemao) e ad un campetto da calcio con in evidenza la scritta “Aqui nasceu o Fenomeno” (Ronaldo ndr), ripenso alle avventure vissute in questi giorni, dalla camminata negli stretti vicoli della favela Rocinha, ai superbi panorami su Rio de Janeiro vista dall’alto del Pan de Azucar e del Corcovado, fino all’esperienza unica della navigazione lungo il Rio delle Amazzoni, nel cuore della Foresta Amazzonica. Piove. Obrigado Brasil, terra dalla natura maestosa, popolo spensierato e sorridente, che si nutre di pallone e religione. Pollice alzato...