NOVEMBRE - DICEMBRE 2009
Itinerario: Bangkok - Mae Hong Son - Nai Soi - Chiang Mai - Chiang Kong - Huay Xai - Luang Prabang - Vientiane - Bangkok.
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12 Novembre La Partenza
Non sono ancora le 17, il sole sta già tramontando e il cielo sopra Milano oggi è insolitamente limpido e terso. Non c’è molto traffico sull’autostrada che porta a Malpensa. Un nuovo viaggio sta per cominciare, non me ne rendo conto ancora a pieno, è stata stavolta una preparazione veloce, inaspettata a neanche 2 mesi dal rientro da Istanbul e dagli infiniti e silenziosi spazi kyrgysi. Ho l’aereo alle 21.15, sono in anticipo, e questa non è una novità. Volo Emirates 0092 con destinazione Dubai, e da lì altro volo per Bangkok. Thailandia del nord e Laos, sono queste le destinazioni di questa nuova avventura: le tribù Padong nel nord ovest thailandese al confine col Myanmar, poi Chiang Mai, infine il magico fiume Mekong fino al Laos, il “Paese gentile”, per poi far ritorno nella babele di Bangkok. Usando stavolta ogni mezzo: bus, aereo, barche, traghetti, treni e tuk tuk...un altro mondo mi sta aspettando...
13 Novembre Bangkok
E dire che di voli in questi anni ne ho fatti tanti, ma non mi era ancora capitato di volare su un Airbus. Il 380 della Emirates è appena decollato da Dubai dopo un’ora di ritardo, un aereo così bello e grande non l’avevo mai visto, su due piani, ad ogni spazioso sedile il suo monitor 10 pollici con telecomando e una vera cineteca, tutti i giochi immaginabili e 3 telecamere per seguire il volo da fuori, perfino una porta usb! Il bianco soffitto poi, una volta spente le luci, crea un effetto cielo stellato degno di un planetario. Questo enorme bestione è decollato senza che me ne sia neanche accorto, come una libellula, insomma, oscar dell’aereo più bello e comodo su cui abbia mai volato, ma altre sei ore dopo la notte già passata saranno ugualmente lunghe...
Finalmente, in orario, atterro: ci sono, Thailandia! Lunga coda per il controllo passaporti, dove tutti vengono fotografati da una moderna webcam, poi, la più amara delle sorprese che mi potessi aspettare: al ritiro bagagli c’è una lista con dei nomi, fra cui il mio. Lo zaino è rimasto a Dubai, non so per quale motivo. Sta di fatto che non c’è, ed è un problema visto che fra due giorni riparto da qua. Compilo il modulo come da prassi, e nonostante le rassicurazioni del personale di terra della Emirates di riaverlo direttamente in Hotel al massimo domani, un pò di ansia mi viene, remore anche di una passata e poco felice esperienza di smarrimento bagaglio. Ma non ho altro da fare che attendere fiducioso. Prelevo i bath, la moneta locale, da uno dei tanti sportelli atm dell’aereoporto, e spendo i primi 150 (3 euro) per il biglietto dell’autobus AE2 diretto alla zona di Banglamphu, a Khao San. Sono le 22 locali, fuori dall’aereoporto subito mi assale una cappa di umidità notevole. L’autobus si fa attendere, poi finalmente arriva, aria condizionata a mille, uno sbalzo di almeno 20 gradi, in 45 minuti sono a Khao San. Da qui, una breve passeggiata, raggiungo lo Sawasdee Welcome Inn, l’hotel prenotato dall’Italia per le prime due notti. La camera del terzo piano è forse la più brutta in cui sia stato negli ultimi anni: un buco, ma soprattutto sporca! Sono in ballo da più 24h e dopo il bagaglio anche questa! Non comincia benissimo, ma la stanchezza e il caldo appiccicoso hanno la meglio, così accendo il rumoroso condizionatore al minimo e provo a dormire, chissà che domani vada meglio.
14 Novembre Bangkok
C’è un’umidità indescrivibile a Bangkok, e io, senza ricambi, son costretto a tenere su gli scarponcini e i jeans che alle 7.30 del mattino sono già appiccicati sulla pelle. Colazione nel patio davanti alla reception, tè frutta fresca e yougurt, mentre la tv accesa a tutto volume mi stordisce mandando in onda i cartoni animati di Pycatchu. Non sono ancora le 8 quando mi incammino verso la vicina Khao San, la via mecca dei viaggiatori zaino in spalla. Fa uno strano effetto ritrovarsi in luoghi visti e vissuti solo qualche anno fa, alcune bancarelle e negozi mi sono familiari, ricordo perfino cosa ci acquistai. Le prime bancarelle stanno già aprendo, ne approfitto per comprarmi una maglietta e un paio di pantaloni estivi, in tutto 300 bath. Torno in hotel per cambiarmi, facendo slalom tra i tuk tuk (tricicli a motore, tipo le nostre ape cross allungate) parcheggiati in attesa dei turisti, mentre già a quest’ora alcune signore friggono del pesce per strada e qualcunodepone delle piccole offerte ai piedi delle enormi radici di un albero avvolto da nastri colorati: wafer e bottiglie di coca cola per gli dei! Che sollievo togliersi i pesanti jeans, era ora, non sarei potuto andare avanti per molto! Telefono alla Emirates per avere notizie del mio zaino, mi assicurano che in serata me lo fanno arrivare in hotel, speriamo. Esco nuovamente, finalmente senza gli occhi puntati addosso della gente che pensava avessi sbagliato paese visto gli indumenti assolutamente impropri di poco fa! Smog e caldo sono una combinazione micidiale, a volte si fa fatica perfino a respirare. Ormai i miei polmoni potrebbero essere usati come rilevatori di inquinamento, dopo essere passati in poco tempo dall’aria tersa e i cieli azzurri del Kyrgyzstan allo smog di una delle più grandi e caotiche capitali dell’estremo oriente. Vago senza meta, e mi infilo in un piccolo ristorante con la cucina che da sulla strada, e all’interno semplici tavoli apparecchiati con tovagliette di plastica. Il tempo di gustarmi delle buone polpette di falafel e di nuovo in cammino lungo l’ampio viale Ratchadamnoen Klang, fino ad arrivare al Wat Rajanadda, edificato nel XIV sec. Il cielo è diventato improvvisamente grigio e minaccioso; entro nel Wat, che è formato da un complesso di templi in stili diversi:alcuni bianchi dai tetti di guglie nere, altri ancora bianchi, con alte finestre contornate da rilievi in bronzo e i tetti di tegole verdi, gialle e rosso mattone, dai quali delle ali dorate simili a delle teste di drago, è come se si innalzassero verso il cielo (i naga, protettori del Buddha). Ci sono dei lavori in corso, alcuni operai e dei monaci con la tradizionale tunica arancio. Tolgo le scarpe ed entro in un tempio deserto, fatto di corridoi a quadrato lungo i quali ci sono statue del Buddha e una scala a chiocciola che porta su in cima. Comincia a piovere, mi riparo sotto una piccola nicchia, controllato alle spalle da una statua del Buddha, e in compagnia di un gattino anche lui al riparo dalla pioggia, che in breve si trasforma in una vera tempesta, con lampi e spaventosi tuoni mai sentiti prima in vita mia. Passa quasi un’ora prima che smetta, me ne sto fermo al riparo in questa oasi di tranquillità. Appena la tempesta ha termine, mi incammino nuovamente verso il quartiere di Banglamphu, tra i marciapiedi semi allagati ma con le bancarelle che già han ripreso a friggere di tutto. Torno nella mia piccola e squallida camera. Alle 17 una ragazza dell’hotel bussa alla porta, le apro e mentre sgranocchia delle patatine dal suo pacchetto mi dice di passare giù in reception a prendere il mio zaino! Finalmente, ora mi sento più sollevato, bello riavere le proprie cose: ne approfitto subito per una doccia, e torno a Khao San. Si fa sera e le bancarelle sono triplicate: basta un ombrellone e sotto un appendino per vendere magliette, vestiti o cibo! La confusione è totale, musica di ogni genere che fuoriesce dai locali, mentre le insegne luminose multicolore sembrano accavallarsi l’una sulle altre. In Khao San ci puoi trovare di tutto, persino magliette che si illuminano camminando, insetti fritti, footh fish massage (massaggi ai piedi fatti da...pesci, in grandi bacinelle), ma soprattutto locali, artigianato e abbigliamento di ogni tipo e per ogni gusto a prezzi incredibilmente bassi! Mi rifugio in un pub per la cena, servitami da un cameriere esplicitamente omosessuale: musica a palla e in un angolo del locale il solito piccolo tempio in miniatura con le offerte di cibo e bibite, incensi accesi, a fianco del banco dei superalcolici! Khao San è anche questa, è un’esperienza da fare. Torno verso l’hotel, dopo aver prima contrattato con un tassista per farmi venire a prendere l’indomani alle 3 del mattino, cioè fra qualche ora, per andare all’aereoporto dei voli nazionali. Esco quindi da questa babele, e mentre faccio il tranquillo e buio tratto di strada che mi porta allo Sawasdee Welcome Inn, incrocio due bambini scalzi e vestiti di stracci che imprudentemente attraversano la strada come di piccoli fantasmi ai margini delle sfavillanti luci di Khao San...Bangkok è anche questa...
15 Novembre Mae Hong Son
Mr. Somporn Taragul (questo è il nome che leggo sulla sua targhetta) mi sta portando fin troppo lentamente col suo taxi in aereoporto. Il taxi “prenotato” ieri non si è presentato, così alle 3.20 am mi sono incamminato nel buio e nelle strade insolitamente deserte per fermarne uno, e non è stato certo difficile. Nonostante l’andatura lenta arrivo comunque in anticipo al chek in: volo per Chiang Mai e da lì cambio e altro volo per la piccola Mae Hong Son, nord ovest del Paese. Nel piccolo aereoporto di Chiang Mai arrivo puntuale, ho un’attesa di 3h, il gate del volo successivo è vuoto, mi sdraio sulle sedie, questa notte non ho praticamente dormito, tanto che mi addormento per un pò...poi arriva gente e l’ora dell’imbarco, un pulmino mi porta fino al piccolo aereo bielica che in 35 minuti attraversando le montagne, mi porterà a Mae Hong Son. Solo due giorni fa volavo su un enorme Airbus 380...Sono a fianco ad una delle eliche, due grosse pale che appena cominciano a girare fanno una certa impressione, oltre ad un rumore non proprio rassicurante. A fianco a me un distinto signore, con un vistoso anello al dito e lo spruzzino anti asma continuamente in azione, che subito attacca a parlarmi, chiedendomi dove sono diretto e per quanto tempo. Iniziamo a dialogare, si presenta dicendomi di essere il governatore della provincia di Mae Hong Son, tanto che mi mostra il cartellino diplomatico, e in effetti si nota un certo numero di persone al suo seguito sedute davanti e dietro a noi. Mi dice che è stato a Venezia e che le è piaciuta, è un tipo simpatico. Volo breve e più indolore del previsto, compreso l’atterraggio sulla corta pista del piccolo aeroporto. Saluto il governatore, scendendo dalla scaletta e raggiungendo a piedi il nastro per il ritiro bagagli, è evidente che gran parte delle persone a bordo erano davvero al suo seguito, c’è perfino del personale dell’esercito ad accoglierlo, bizzarro! Stavolta lo zaino c’è, lo recupero, esco e mi faccio portare in tuk tuk fino alla vicina Jonny House, neanche 5 minuti di strada. Finalmente una grande e pulita camera, una specie di bungalow in posizione tranquilla, con la finestra che affaccia sul piccolo lago Nong Jong Kham, semiprosciugato per via di alcuni lavori che stanno facendo. La proprietaria è una giovane thai gentile e sorridente, che interrompe la stesura del bucato per condurmi alla camera. Son talmente in arretrato di sonno che la prima cosa che faccio è buttarmi sul letto matrimoniale a dormire un pò! Mi sveglio poco dopo solo per la fame e così esco per le vie del paesino. Mae Hong Son è proprio un piccolo paese, tranquillo e silenzioso, circondato dalle montagne completamente ricoperte da fitta vegetazione, una strada principale con negozietti e qualche locale, poi basse case, tanto verde e più motorini che auto. Bizzarro vedere all’unico incrocio degno di questo nome, un vigile che si sbraccia mentre passa solo qualche scooter e pure lentamente! Si, lentamente direi che è la parola adatta qui: tutto sembra infatti scorrere lentamente, la gente sorride e sonnecchia, mi piace. Entro in un ristorante, La Tasca, dove sono l’unico avventore: prendo una pizza, e mentre mangio, le due ragazze del locale, credo madre e figlia, sedute qualche tavolo indietro, leggono e lavorano a maglia. Riprendo a passeggiare per le vie del paese senza una meta, passando dal mercato di frutta e verdura fino ai Wat Jong Kham e Jong Klang, in stile birmano, posti di fronte al laghetto. Qualche monaco si prende cura del verde mentre dei giovani, all’ombra di grossi alberi, giocano a dama usando come pedine dei tappi di bottiglia. Torno in guesthouse a prenotare per l’indomani un mototaxi: voglio andare ai villaggi delle tribù Padaung abitati dalle “donne dal collo lungo”. Si fa sera, mi rifugio a scrivere e a cenare sulla terrazza del “Meeting”, un piccolo locale su due piani, tutto in scuro legno, di fronte al laghetto, mentre sotto, lungo i marciapiedi, si allestiscono delle improvvisate bancarelle, una delle quali diffonde una rilassante musica thai. Dall’alto osservo anche dei monaci che passeggiano tra i banchi mentre mangio in compagnia solo di un grosso cane che passa tra i tavoli, al lume di una candela dentro una ciotola di terracotta. Quando esco la sorpresa: non solo lungo il laghetto, ma l’intera zona si è trasformata in un mercatino notturno all’aperto! soprattutto bambini e ragazze, seduti scalzi sille loro stuoie adagiate sui marciapiedi e davanti i coloratissimi banchetti che vendono un pò di tutto, in particolare stoffe e abbigliamenti tipici delle tribù di montagna, ma non solo, anche bamboline di stoffa e di legno, borse scarpe, argenteria e l’immancabile cibo fritto e cotto per strada! I banchi sono illuminati da semplice lampadine spoglie, è incredibile, mi sa che vedrò mercati ovunque in questo viaggio, chissà a Chiang Mai! Lentamente arrivo dall’altra parte del laghetto, la via della Jonny House è popolata solo da qualche cane vagabondo, tutto è tranquillo. Il mio sonno stanotte sarà cullato solo dal verso dei grilli e delle cicale, oltre a qualche rana di passaggio...
16 Novembre Mae Hong Son - Nai Soi
Finalmente dopo tre giorni una bella dormita, e e risvegliarsi col canto del gallo è davvero rilassante. Esco a cercare un posto dove fare colazione, è presto, non c’è ancora l’umidità soffocante, il cielo è in parte nuvoloso, con una sottile striscia di nebbia che avvolge la vegetazione delle montagne. Le strade che ieri notte erano invase dalle bancarelle ora sono deserte, in giro solo qualche motorino di passaggio. Mi fermo a fare colazione sui tavolini all’aperto del Sunflower Cafè, con sottofondo lieve di musica jazz, che sensazione di pace...Una giovane studentessa universitaria thai mi chiede gentilmente di compilare un modulo di indagine turistica per una ricerca. Finisco poi con calma colazione e faccio la breve passeggiata che mi riporta alla guasthouse. C’è già il mototaxi prenotato ieri che mi aspetta: l’autista ha su il casco (cosa rara qui) e una pettorina rossa sbiadita con scritte in caratteri thai. Monto su, senza casco, e via. E’ uscito il sole e comincia a picchiare sul serio, in cielo più nessuna nuvola. In circa 45 minuti percorriamo i 35 km di strada asfaltata e contornata da verdi vallate e fitta vegetazione, con le enormi foglie dei banani che in alcuni tratti arrivano fin su la pista. L’ultimo breve tratto di strada è sterrato, e conduce fino all’ingresso del villaggio di Nai Soi: c’è un piccolo chiosco dove pago la tassa di ingresso di 250 bath, che finanziano il KNPP (Partito Nazionale Progressista Karen). Sto infatti entrando i un insediamento di etnia Karen, le tribù di montagna delle Padaung, una minoranza etnica perseguitata in Myanmar, paese di origine il cui confine dista pochi km da qui. L’autista mi indica la strada, lui si ferma, io proseguo a piedi, da solo, lungo una pista di terra battuta, poche decine di metri e arrivo al villaggio: qualche capanna in legno, immersa tra la fitta vegetazione, coi tetti spioventi piuttosto basi, alcuni dei quali rivestiti di foglie di banano, che poggia come palafitte su corti pali sempre in legno. Davanti ad ogni abitazione, dei piccoli banchi con esposti prodotti artigianali: stoffe, maglie, statuette in legno, bracciali e collane. E poi loro, le donne Padaung “dal collo lungo” famose in tutto il mondo per portare al collo un collare a spirale di diverse altezze, che può raggiungere i 30cm creando un effetto di allungamento innaturale e dal significato ignoto. La credenza che se venisse tolto questo collare la testa molle cadrebbe è una gran bufala, infatti le stesse donne lo tolgono e mettono senza problemi. Fa impressione vederle così “allungate”, rigide nella postura della testa, ma è una tradizione che si tramandano da sempre in maniera fiera ed orgogliosa. Le donne più anziane hanno spirali più alte rispetto alle giovani; quasi tutte indossano fiocchi colorati a tirar su i capelli, e costumi tipici di colo nero, particolarmente lavorati, oltre ad una notevole quantità di lunghe collane che cadono sulle vesti, bracciali e cavigliere. Alcune indossano la spirale anche alle caviglie e tra il polpaccio e il ginocchio, andando anche qui a deformare le ossa. Se ne stanno a tessere i fili di seta con strumenti in legno rudimentali, alcune chiaccherano pulendo verdure davanti ai loro banchi. Sono l’unico straniero che si aggira nel villaggio, in fondo al quale alcuni bambini giocano a pallavolo in un polveroso spiazzo dotato però di rete. C’è anche una scuola, sempre su palafitte di legno, divisa in tre buie aule, con lavagna e veri banchi, mentre altri bambini più piccoli si dilettano a giocare con l’ula op. Mi aggiro curiosando silenziosamente, inseguito da galline e pulcini e da un cagnetto giocherellone che continua a saltarmi sulla gamba. Sulle pareti di alcune palafitte sono appese le foto di calciatori inglesi, e di modelle occidentali, chissà anche loro con che occhi curiosi ci vedono. E’ tutto molto tranquillo, gioco un pò con alcuni bimbi curiosi, fotografandoli, e acquisto qualcosa dalle bancarelle. Dopo un pò nel piccolo villaggio (saranno una trentina di palafitte in tutto) arriva anche una giovane coppia di turisti con guida locale, non sono più l’unico. Vivono così le Padaung, del ricavato del loro artigianato, mentre gli uomini, assenti ora, sono dediti all’agricoltura. Alcune di queste giovani ragazze hanno dei volti davvero belli. Dopo più di un’ora decido di tornare verso lo scooter, soddisfatto di questo interessante assaggio di un mondo lontano e difficile da comprendere. La Padaung anche se poco colloquiali, hanno in dote il sorriso e la gentilezza, che da queste parti non mancano mai. So che si cono altri villaggi nella zona, così tornato alla Jonny gusthouse chiedo alla gentile giovane proprietaria come arrivarci: tra mezz’ora arriva Noi, il suo compagno, mi porterà lui col suo motorino; pattuiamo il prezzo e attendo. Noi arriva anche prima e nonostante non abbia ancora pranzato, ne approfitto e riparto in sella ad un due ruote, destinazione Hoy Sen Thao. Noi è un ragazzo giovane e parla un buon inglese. Lungo la strada, oltre a gente china a raccogliere e a battere il grano nei campi, incrociamo anche due grandi elefanti. Arriviamo: Hoy Sen Thao è meno caratteristico di Nai Soi, più turistico, consiste in una lunga via sterrata di banchi pieni di merce, una sorta di mercato gestito sempre da loro, le Padaung dal “collo lungo”. Qui ci son più turisti, una Padaung suona la sua chitarra al banco dove vende i propri cd, le altre tessono o trattano con gli stranieri. Il vero villaggio con le abitazioni non c’è, o meglio, è “nascosto” dal mercato, decisamente meglio Nai Soi. Per 300 bath in più Noi mi propone di allungare fino ad un altro piccolo insediamento Karen, ma non abitato dall’etnia Padaung stavolta, e ovviamente accetto. In breve sono in un altro villaggio Karen di profughi birmani, proprio in mezzo ad una giungla! Da alcuni grandi alberi scendono le liane, poi anche qui le semplici baracche di legno, ma nessun mercato nè vendita di alcun chè! Noi mi dice che in tutto sono 72 abitazioni, e ora il villaggio è semideserto perchè gli uomini e le donne sono nei campi a raccogliere il riso. Mi faccio un giro da solo, mentre Noi aspetta da un suo amico: tanti cani, qualche cucciolo di pochi giorni, galli e galline con pulcini al seguito e qualche anatra, sembra abbandonato in efftti, incrocio solo due bambini che giocano scalzi nel fango, una donna anziana con un piccolo avvolto sulle spalle, intenta ad intrecciare foglie e una ragazza appena tornata col suo motorino, strano da vedersi qui tra terra, legno e fango. Quei pochi che ci sono sembrano straniti della mia presenza, non sono abituati agli stranieri; gente semplice che vive di campagna e non di commercio, a pieno contatto con la natura. Verde e marrone delle case in legno, qualche macchia di colore data dai panni stesi. Ritrovo Noi che mi invita a salire a casa del suo amico, un ragazzo giovane, magrissimo, anche lui esule. Salgo la scaletta di legno che mi porta sulla palafitta, un’unica stanza davanti alla quale c’è un piccolo spazio scoperto con delle panche. Scambiamo qualche parola in inglese, noto una piccola dispensa con le stoviglie, e una mappa del Myanmar, il suo Paese dal quale è stato costretto a fuggire, appesa dietro a lui. Ci salutiamo, lui continua a sorridere. Per me è stata indubbiamente una giornata intensa ed interessante, che mi fa pensare e riflettere, su tante cose...Tornato Mae Hong Son, ceno di nuovo al Sunflower Cafè, stasera c’è anche musica dal vivo, suonata da un ragazzo che con semplici giri di chitarra trasmette una sensazione di pace...Alle 21 alcuni negozi già chiudono, tutti con le immancabili infradito salgono sui loro motorini e via, mentre va formandosi il mercato notturno...
17 Novembre Mae Hong Son
stanotte un branco di cani ha deciso di fare festa proprio qua al laghetto, nottata semi insonne. Colazione al Sunflower, che rispetto al vicino Meeting apre alle 7.30, un’ora prima, per i più mattinieri come me. Faccio due passi intorno a quel che resta del laghetto, è un peccato che proprio ora stiano facendo i lavori; pieno, con le palme e le montagne da una parte e il profilo dei Wat dall’altra deve essere proprio carino. Passo accanto ad alcune piccole sartorie, una signora cuce con la sua vecchia macchina a pedali lungo la strada, riparata all’ombra, poi l’ufficio della polizia turistica, il cui unico gendarme presente altro da fare non ha se non innaffiare le piante attorno alle mura. Camminando arrivo alla parte occidentale del paese, lungo una strada costeggiata da alberi secolari, dalle enormi radici. Qui c’è il Wat Pra That Doi Kong Mu, un complesso di piccoli templi, tre chotren bianchi in cima ad una scalinata le cui mura ed estremità formano la sagoma del corpo di due lunghi draghi. Anche qui non c’è nessuno, solo un uomo che col suo pennello sta ridando colore ad un grande vaso posto ai piedi di una statua bronzea del Buddha, alta una decina di metri. Da qui una lunga scalinata, sempre sagomata col corpo di draghi, porta fin su alla collina a 1500 metri di altezza, scavando la fitta vegetazione. I gradoni sono in stato di abbandono, parzialmente ricoperti dalle grandi foglie caduteci sopra e ormai seccate. Il sole è forte, una faticaccia arrivare fin qua su con questo caldo. In cima c’è la statua in piedi del Buddha, da qui mi riprendo ammirando un pò il panorama dall’alto di Mae Hong Son, anche se la vista ostacolata dai rami e la vegetazione non è il massimo. Si intravede anche il piccolo e nuovo aereoporto, totalmente deserto visto che c’è un solo volo al giorno in mattinata da e per Chiang Mai; la pista ovale, priva di aerei, sembra più quella dei go kart! Si respira pace quassù, sono ancora una volta completamente solo, in lontananza i rumori del paese e le urla di gioco dei bambini di una scuola. Oggi non ho molto da fare se non vagare lentamente per il paese e aggiornare i miei appunti nel tranquillo patio della Jonny House. Si fa quasi l’ora del tramonto quando mi incammino verso il Meeting Cafè dove ho deciso di cenare. Nel cortile del Wat Jong Khan un gruppo di anziane signore tutte vestite di rosa, esegue lenti movimenti di danza sulle note di una musichetta thai, che buffe. Già si stanno allestendo con tutta calma le bancarelle del mercatino notturno. Dopo la cena, integro anche con uno spiedino di carne preso per strada dai venditori ambulanti a soli 10 bat; stasera aqcuisti! E’ l’ultima notte qui a Mae Hong Son, in questo tranquillo angolo di Thailandia. Cani permettendo, sarà l’ultima dolce veglia di un’orchestra di rane grilli e cicale...
18 Novembre Chiang Mai
Sono da poco passate le 7, il sole è ancora debole e per le strade oltre al solito gruppetto di cani, solo qualche motorino. Passo accanto all’enorme albero dal fusto gigantesco, ai piedi del quale sono stati messi dei piccoli templi e delle offerte, mentre dall’altro lato del marciapiede già alcuni turisti orientali scesi dai loro minivan entrano nei Wat. Le acque stagnanti rimaste nel piccolo Nong Jong Kham sono sorvolate a pelo da grandi libellule che assomigliano a dei piccoli elicotteri giocattoli. Ultima colazione al Sunflowers Cafè, poi in camera a prendere lo zaino. Noi si offre di portarmi lui al vicino aeroporto: così in un precario equilibrio, carico zaini e me stesso sul piccolo scooter, come in Vietnam, e via per quella che ricorderò come la corsa più breve verso un aereoporto, neanche 4 minuti! Il piccolo e nuovo edificio è ancora vuoto, sono il primo avventore, controllo bagagli e chek in in un clima surreale: ci sono tre negozi, 2 bar e l’immancabile gigantografia di re e consorte.Quello per Chiang Mai è l’unico volo che parte e atterra da qui. Alla spicciolata comincia ad arrivare gente, e il piccolo bielica della Thai atterra puntuale. Si riparte, volo breve ma rispetto all’ andata atterraggio un pò meno tranquillo. Ritiro il mio bagaglio, e prendo al chiosco dei taxi un biglietto a 120bath (tariffa fissa). Appena fuori mi viene “assegnata” una giovane tassista che mi porta nella via della Montra Guesthouse dove voglio pernottare. Anzi, dove vorrei, visto che non la trovo. Il taxi infatti mi lascia all’inizio di una stretta via dove non può entrare, in base alle indicazioni della mappa dovrebbe essere qui, ma o ha cambiato nome o non c’è più. Faccio su e giù la via, carico come un mulo e sotto un sole cocente, chiedendo in altre guesthouse, tutte piene però. Finalmente, sempre nella stessa stretta e semipedonale via, tra piccole lavanderie e graziosi ristoranti all’aperto, trovo una sistemazione alla Kavin Guesthouse, e sono fortunato, per 250 bath ho una grande e luminosa stanza a due letti col bagno. Le enormi foglie del grande albero di fronte quasi entrano dalle finestre, anch’esse grandissime. Fare su e giù con questo pesante zaino e con questo caldo è stato un massacro, accendo il ventilatore, doccia rigenerante e via giù a scoprire la città. Chiang Mai è proprio una vera città, trafficata soprattutto da moto e motorini, ma anche tuk tuk e dai sawngthaew rossi, ovvero dei lunghi pick up coperti, con due panche laterali poste una di fronte all’altra, che fungono da trasporto pubblico. L’attraversamento delle strade è una bella impresa, qui il pedone non ha mai la precedenza, ma ormai ho fatto scuola ad Hanoi: pazienza e decisione! Quasi tutta la zona da vedere è racchiusa all’interno del canale che forma un quadrato intorno al centro. La Kevin Guesthouse è proprio a due passi dalla strada principale, che la domenica si trasforma nella famosa Sunday Walking street, un paradiso per lo shopping turistico e non. C’è anche un’ altra grande zona per lo shopping, Chiang Khlan, che la sera si trasforma nel night bazaar. E’ proprio qui che mi incammino, per capire quanto dista dal centro a piedi. Passo davanti ad una delle tante agenzie viaggi, ne approfitto per prendere già i biglietti del minivan che fra tre giorni mi porterà al confine col Laos: la ragazza prova a vendermi l’intero pacchetto del passaggio frontiera, visto, e pernottamento e pure navigazione verso Luang Prabang, ma farò da solo una volta sul posto, preferisco, più libertà e meno vincoli da tour organizzato. Proseguo la mia passeggiata; Chiang Mai è piena di ristoranti e locali di ogni tipo, dal semplice localino con cucina all’aperto e i classici tavoli in plastica senza nessuna scritta coi caratteri dell’alfabeto occidentale, ai ristoranti etnici di tutto il mondo, alcuni davvero belli. E non mancano i rot khèn, i carretti di venditori ambulanti. Mangiare non sarà un problema qui! E abbondano anche i negozi, i centri di massaggio e i mercati! Arrivo a Chiang Khlan, la zona del night bazar ed è subito evidente che qui la sera dev’essere un delirio: è una via lunghissima, con ampi marciapiedi, da una parte le vetrine dei negozi, colmi di merce, di fronte ad esse, piccoli carretti ora quasi tutti vuoti. La percorro, c’è in vendita di tutto, dall’abbigliamento etnico a quello firmato, magliette e calzature di ogni tipo, borse, zaini, artigianato, argenteria, sciarpe di cotone o seta...la qualità e la scelta sono buone e la contrattazione è d’obbligo! Ora capisco perchè ci sono così tanti sportelli bancomat. E entrando nei vicoli laterali, ecco che improvvisamente si aprono altri mercati, impressionante. Qui potendo ci sarebbe da riempire almeno due zaini vuoti. Sono le 15, mi fermo a mangiare qualcosa, mentre qualcuno già comincia ad allestire alcuni banchi. Stanco rientro in guesthouse, tra un attraversamento di strada e l’incrociare di altri turisti soprattutto nord europei o americani, come a Bangkok. Questo non è il posto adatto per i tour organizzati. Mi riprendo (dal caldo soprattutto) e riesco per cena, scegliendo un piccolo locale thai, dove provo la Fanta...verde! La signora mi riempie letteralmente di noodles e carne di maiale, talmente tanto che ne avanzo almeno la metà. Me la faccio mettere in piccoli contenitori di plastica, che lascio poco più avanti ad una mendicante. Devo camminare per smaltire questa cena, ma esagero un tantino fino a perdermi, qui è un casino con le strade, complice anche il fatto che alle 21, stranamente, tutti chiudono, compresi alcuni ristoranti (si vede che tutta la vita ruoterà attorno al night bazar), quindi ho pochi punti di riferimento. Questa parte di città si è svuotata, ma in qualche modo, chiedendo informazioni ai pochi passanti che incrocio, ritrovo la via di casa, anche stavolta.
19 Novembre Chiang Mai