MAROCCO

SETTEMBRE 2011


Itinerario: Marrakech - Setti Fatma - Essaouira

24 Settembre 2011


H. 6.19 del mattino, fuori è ancora buio mentre attendo seduto nella sala d’attesa dell’aeroporto di Orio al Serio l’imbarco per il volo Ryanair che mi porterà in Marocco, a Marrakech. A poco a poco la sala si riempie, una donna araba col velo, prega in un angolo inginocchiandosi sulla sua piccola stuoia; sto tornando in Africa a soli 3 mesi dall’ultima volta in Senegal, ma il troppo sonno ancora non mi fa rendere conto a pieno dell’ evento, so solo, per ora, che un nuovo viaggio sta per avere inizio. Imbarco, tra una battuta e l’altra del comandante di bordo che invita a non aprire i finestrini in volo perchè fuori fa freddo, il tempo passa veloce, così, dopo aver sorvolato lo stretto di Gibilterra e proseguito lungo la costa Atlantica del continente africano, dopo poco meno di 3 ore atterro a Marrakech. Il controllo passaporti e il ritiro bagagli nel piccolo ma moderno aeroporto “Menara” sono veloci; cambio i miei euro in dirham marocchini (1 euro=11 Dh) e contratto il prezzo di una corsa con uno dei tanti tassisti, il quale parte da una cifra pari al triplo rispetto a quella con cui poi chiudiamo la trattativa, oramai viaggiare per il mondo mi ha reso un ottimo contrattatore. Il cielo è grigio, uscendo dall’aeroporto la dritta strada che porta in città è trafficata quasi solo da vecchi taxi colo beige, e contornata  da piccole cancellate che sembrano delimitare il nulla assoluto. Dopo poco tempo ecco le mura rosate della Medina, la parte antica di Marrakech. Il taxi mi lascia nell’immensa Djemaa el-Fna, non propriamente una piazza come la intendiamo noi, ma un enorme spiazzo di cemento dalla forma irregolare, dove auto e pedoni non hanno un senso delimitato da percorrere. Da qui si diramano gli stretti vicoli dove le auto non possono entrare viste le dimensioni, a piedi mi dirigo per qualche centinaio di metri fino all’hotel Sherazade: da fuori una vecchia e grossa porta in legno intarsiato, color carta da zucchero, mentre all’interno, oltrepassata la minuscola reception, si apre un piccolo cortile quadrato ricco di piante con al centro una fontana a forma di stella a 6 punte e tappeti ovunque. La mia stanza non sarà libera prima delle 14, così lascio lo zaino in custodia e comincio, seppur stanco dalla levataccia mattutina, a fare la prima conoscenza della città, ripartendo a piedi da Djema el-Fna. Tutto attorno a questa immensa piazza, ristoranti con terrazza pieni di locali e turisti che osservano lo scorrere della vita di piazza, come fossero seduti al cinema di fronte ad uno schermo, nessuno da la schiena a questo spettacolo: al centro, tra il via vai carretti di legno trainati da asini e motorini che sfrecciano tra i pedoni, vi sono in fila una serie di pittoresche carrozze colme di arance che vendono a soli 4 Dh fresche spremute fatte al momento. Poi gli incantatori di serpenti che continuano incessantemente a suonare i loro pifferi, così come i suonatori di tamburi che creano la suggestiva colonna sonora di Marrakech. Le donne, nascoste in tutto o più diffusamente solo in parte dai loro colorati veli che, sedute su piccoli sgabelli, invitano i passanti a farsi fare tatuaggi con l’hennè, gli anziani venditori di acqua coi loro costumi tradizionali berberi dai colori sgarganti e con cappelli alquanto ridicoli pieni di pennacchi, e ancora il triste e aggiungo crudele “spettacolo” delle scimmie ammaestrate, legate da catene, per la effimera gioia di qualche turista senza scrupoli per una foto ricordo. Djema el-Fna è questa, un luogo assurdo e a tratti surreale ma con un fascino che ti colpisce da subito. Ci sono anche persone sedute per terra col loro ombrellone, che non si capisce bene cosa vendano, perfino qualcuno che espone denti e dentiere su un banchetto di legno come se fosse frutta. Mi butto nei vicoli del souq alcuni dei quali coperti da tetti di grossi rami che lasciano filtrare la luce solo in parte, tutti colmi di banchi che vendono di tutto, dalle spezie alla frutta secca dalle bellissime lanterne in ferro e vetro alle tipiche scarpe di cuoio dalle forme e i disegni caratteristici, tra le più belle viste nei miei viaggi. I prezzi non sono quasi mai esposti, è d’obbligo contrattare su tutto, ma sono appena arrivato e troppo stanco per avventurarmi in questo gioco. Mi limito per ora ad osservare, a scattare foto e a schivare biciclette e motorini che dribblano i pedoni con grande maestria. Ho fame, interrompo il mio vagare per un pranzo economico al Riad Monlay Said, un ristorantino nascosto tra i vicoli e trovato per caso. A stomaco pieno si ragiona meglio, riprendo la mia camminata uscendo dai vicoli del souq e risalendo Ave Hommane el Fetouaki, una vera strada con tanto di marciapiede, e una serie di negozi in fila di gomma piuma usata per riempimento dei divani; gli uomini, soprattutto i giovani, sono vestiti all’occidentale. qualcuno indossa invece la tipica tunica lunga, così come quasi tutte le donne molte delle quali hanno il velo in testa e alcune, poche a dire il vero, il burqua. Ci sono anche diversi mendicanti lungo il marciapiede, silenziosi, sguardo perso...Arrivo alla moschea Koutoubia, col suo alto minareto di 70 metri che sembra una torre color sabbia. L’interno non è accessibile ai non musulmani, così mi limito a fare una passeggiata attorno ai suoi giardini, per poi risalire la strada fino a tornare alla Djemaa el-Fna, tra carrozze usate per portare a spasso i turisti, guardacaso proprio in questo breve tratto di strada c’è l’entrata del Club Med, Sono di nuovo in piazza, sempre più affollata, e io sempre più cotto che mi trascino fino allo Sherazade dove finalmente ho la mia camera, la n.24 al piano terra, minuscola ma pulita: soffitto alto e metà parete piastrellata, un letto ad una piazza e mezza con ai piedi un piccolissimo divanetto, e tappeti lanosi arancioni per terra, nessuno spazio per muoversi ma a me va bene così; nel semplice e piccolo bagno ci sono perfino docciaschiuma e latte per il corpo profumati. Provo a riposare un pò ma non riesco ad addormentarmi, così alle 15 sono di nuovo in giro. Nel frattempo è uscito il sole, arrivo a piedi al Palais de Bahia, poco distante dal mio hotel: il cortile è abitato da una colonia di gatti, all’interno le grandi stanze dagli alti soffitti sono vuote, le pareti e soprattutto i soffitti stessi sono decorati in legno o con dipinti dai colori caldi, ma a parte ciò e un bel cortile piastrellato in marmo azzurro con al centro una piccola fontana, il luogo non offre null’altro, soprattutto se confrontato col sontuoso Palazzo Topkapi di Istanbul. Esco e percorro un pò a casaccio gli stretti vicoli della medina, una mappa qui serve a ben poco, è impossibile non perdersi, tanto vale lasciarsi guidare dai colori, dagli odori forti di salvia e menta; accovacciati ai piedi delle antiche porte alcuni anziani dalla barba lunga osservano lo scorrere del tempo, mentre i commercianti di tappeti appendono le loro opere in bella vista sulle mura rosate della medina stessa; qualcuno mi sussurra “hashish” mentre a turno alcuni bambini tentano di farmi da guida per ottenere una mancia, ma è sufficiente per tutti un “no grazie” accompagnato da un sorriso per farli desistere, anche se alcuni sono tenaci. intorno alle 17 l’adhan, ovvero l’invito alla preghiera del muezzin , viene diffuso dagli altoparlanti delle moschee e poco dopo, spuntano dal nulla piccoli carretti di ferro spinti a fatica negli stretti vicoli in direzione della piazza. Scende lentamente la sera e Djemaa el-Fna si trasforma: il suono dei pifferai e dei suonatori di tamburi diventa incessante e a tratti frenetico, gran parte dell’immenso spiazzo di cemento è ora occupato da banchi simili a piccoli gazebo, alcuni coperti da bianchi teli di plastica, tutti numerati e con file di semplici tavolate ricoperte di tovaglie in plastica sempre bianche; il cibo, verdure, carni di ogni tipo e pesce, è esposto così come le piccole griglie dove viene cotto al momento, e i camerieri, quasi tutti ragazzi giovani, cercano in tutti i modi di convincere i turisti a fermarsi ai loro banchi. Si accendono tante e semplici lampadine che illuminano questo spettacolo. coi fumi delle griglie che salgono nel cielo. Mi siedo in uno di questi tavoli a cenare, lentamente: tajne di pollo e l’immancabile thè alla menta marocchina. passano tra le corsie dei mini ristoranti all’aperto bambini che vendono pacchetti di fazzoletti (è per questo che a tavola non servono i tovaglioli) e altri che spingono piccoli carretti pieni di cd con musiche locali sparate ad alto volume da un’autoradio collegata ad essi. Cammino per la piazza che è diventata ormai un immenso bazar a cielo aperto, si sono infatti aggiunti anche venditori di palloncini, giovani donne che si offrono di fare tatuaggi in hennè...un uomo anziano di uno dei negozi di lampade che contornano la piazza nota il “Che” sulla mia maglietta: “ Che Guevara!” esclama entusiasta. Poi però mi chiede di raccontargli il perchè Che Guevara è diventato famoso, cos’ha fatto...e così la mia prima notte marocchina la concludo narrando nel mio approssimativo francese, le gesta e l’eroismo buono del Che...

    

25 Settembre

   

L’omino della reception dello Sherazade ancora dorme quando esco e lascio le chiavi sul bancone, ma sembra non essere l’unico: è mattino presto, il tratto del vicolo che mi porta alla Djemaa el-Fna è semideserto, la stessa piazza ha tutto un altro aspetto. Contratto con alcuni tassisti senza successo, sparano cifre troppo alte, ma poco più in là riesco a trovare un giusto prezzo col tassista di una vecchia mercedes beige, il quale per 300 Dh mi porterà a Setti Fatma, nella Ourika Valley, circa un’ora di strada a sud di Marrakech, e mi attenderà mezza giornata per poi riportarmi qui. Aspettare il riempimento del grande taxi che parte solo con 5 passeggeri mi avrebbe forse fatto risparmiare ma sarebbe stata lunga e ardua come impresa visto che a quest’ora non c’è in giro nessuno, e in fondo meglio così. E’ domenica, qualcuno attende paziente alle fermate degli autobus mentre col vecchio taxi usciamo dalla medina e dalla città: strada dritta a due corsie per marcia, poche auto, attorno ogni tanto qualche agglomerato di case a 1 o 2 piani fatte in mattoni ricoperti di fango rosa, danno l’idea di sembrare incompiute, senza un tetto; mi sembra di rivedere la periferia di Dakar in Senegal, anche se qui assai meno incasinata. Un grande campo da calcio in terra battuta, un nuovissimo distributore di benzina e appena fuori città perfino un parco acquatico sito nel nulla. La strada è sempre uno di quei luoghi che ti aiuta a far conoscere meglio il luogo con in suoi diversi aspetti e le sue contraddizioni. C’è il sole e una leggera foschia all’orizzonte, che in parte nasconde, velandoli, i profili delle montagne a cui mi sto avvicinando. La terra attorno è ricoperta di alberi di ulivo e di arance e file di cactus di piante di fichi d’india. Dopo circa mezz’ora passiamo il villaggio di Agrab, da cui la strada diventa più sconnessa, si comincia a salire, qualche tornante e il paesaggio attorno cambia: piccoli agglomerati di case arrampicate sulle pareti delle montagne, quasi a mimetizzarsi con esse, poca gente ai lati della strada di tanto in tanto, alcune botteghe espongono tappeti, lanterne e artigianato in terra cotta. Sono i Berberi delle montagne mi dice il tassista. Ci sono anche le prime cooperative femminili che producono e vendono l’olio di Argan e prodotti da esso derivati. L’Argan è un frutto che cresce solo qua in Marocco, da cui si produce olio alimentare dal sapore fruttato e olii e creme cosmetiche dai molteplici e benefici effetti. Il tutto attraverso un antico e naturale processo di lavorazione di cui si occupano appunto le donne. Sono diverse le cooperative che si incontrano lungo la strada. Le pareti delle montagne sono a tratti rocciose e a tratti ricoperte di vegetazione, la strada ora costeggia il letto pietroso di un torrente, attraversando il quale su ponticelli dall’aspetto poco rassicurante, si arriva a piccoli ristoranti all’aperto sulla sponda opposta, con i tavoli di plastica messi perfino nell’acqua stessa nei punti dove è bassa e scorre lenta. E’ passata un’ora e arrivo a Setti Fatma, il piccolo villaggio sito in uno stretto canyon: il tassista parcheggia e ci diamo appuntamento per il pomeriggio. Comincio così la mia esplorazione. Sono a 1500 metri di altitudine ai piedi della catena montuosa dell’Atlante, il sole è caldo. Setti Fatma altro non è che un gruppo di case berbere arrampicate pittorescamente sul lato destro della strada lungo le pareti rocciose, con un pò di negozietti di artigianato locale, e dal lato opposto, sia prima che oltre il torrente, un’infinità di piccoli ristoranti, molto semplici, ognuno con in mostra le sue caratteristiche pentole di terra cotta col cappuccio, per cucinare il Tajine, il famoso stufato marocchino che mantiene la carne umida e tenera. Il letto del torrente in questo tratto è ampio ma in secca in diversi punti, tanto che alcuni berberi delle montagne scesi qua per barattare le loro merci, ne approfittano per “parcheggiare” i loro asini e anche qualche cammello, per poi riunirsi a piccoli gruppi per confabulare, vestiti con le tipiche tuniche lunghe e il copricapo islamico. Attraverso il torrente passando su un ponticello di legno e comincio a salire lungo il sentiero di pietre che porta alle cascate, ma non essendo attrezzato con le giuste scarpe, mi limito senza azzardare sulle rocce scivolose, a salire fino a chè il percorso me lo consente. Anche qui, tra le rocce, piccoli ristoranti ancora chiusi e qualche bottega di artigianato. Vago su e giù lungo l’unica via che attraversa il paese, non più di 400 metri, scattando foto e facendo due chiacchere con qualche gentile commerciante, fino a chè scelgo un tranquillo ristorante a cui arrivo attraversando uno dei traballanti ponticelli sopra il torrente: non c’è nessuno, così mi siedo su un divano in legno imbottito di comodi cuscini, all’ombra di un telo che fa da gazebo, e in totale tranquillità mi gusto un ottimo tajine  di verdure accompagnato da uno squisito pane focaccia e cullato dal sottofondo costante dello scorrere delle acque del torrente tra le pietre. Con un’ora di anticipo sull’orario concordato ritrovo il tassista e decido di rientrare, non c’è molto altro da vedere e il flusso di grantaxi in arrivo è aumentato e si cominciano a vedere un pò di turisti. Ripartiamo e dopo un’ora sono di nuovo a Marrakech, saldo e saluto il gentile tassista facendomi lasciare alla piccola ma moderna stazione dei treni, dove dovrei trovare il biglietto per l’indomani con destinazione Essaouira. Dentro negozi moderni e aria condizionata, sembra un piccolo centro commerciale, ben diverso dal souq della medina. L’impiegata dell’ufficio informazioni mi spiega che per Essaouira esiste solo il servizio Supratours di pullman, gestito sempre dalla compagnia delle ferrovie (Oncf). La stazione è adiacente, dista solo poche decine di metri, così vado e faccio il biglietto (70 Dh). Sono in Ville Nouvelle, la parte nuova della città, e si vede, tutto è completamente diverso, grandi viali, verde curato, palme e grandi resort (anch’essi rosa) e Spa. Di gente pochissima, a parte me che passeggio in direzione del centro storico e dei Djemaa el-Fna, sotto il sole che picchia e una temperatura di 36 gradi. Due zone della città diametricalmente opposte, due facce della stessa medaglia. Ma la vera Marrakech è qui alla medina, piena di gente, dove arrivo dopo una lunga passeggiata per riperdermi nei suoi vicoli vivi, animati e colorati, nel labirintico souq, fino ad arrivare sfinito e sudato, nella minuscola camera dello Sherazade. Dopo il breve ma meritato riposo esco per la cena: fuori è già buio, la piazza già indemoniata e colma di suoni e gente: salgo in uno dei ristoranti con terrazza che la circondano, con un pò di pazienza e fortuna trovo un tavolino che si libera, sito proprio sul parapetto, e lo spettacolo della Djemaa el-Fna vista dall’alto è qualcosa di unico. E’ immensa, illuminata da migliaia di lampadine, coi banchi rostorante dai quali si alzano i fumi delle griglie e tantissimo puntini che si muovono come formiche impazzite, ossia locali e tursiti che si mescolano, gli scooter che schivano tutto e tutti, il suono dei tamburi e le colorate carrozze che vendono spremute. Ora capisco perchè tutto questo spettacolo a cielo aperto è stato dichiarato dall’Unesco “capolavoro del patrimonio orale e immateriale dell’umanità”. E quando a tutto ciò si aggiunge il richiamo alla preghiera del muezzin, allora il fascino ti cattura del tutto, e ti sembra di essere in uno di quei luoghi che potrebbero essere l’ombelico del mondo...


26 Settembre


La stazione degli autobus Supratours è più piccola e tranquilla rispetto ad altre stazioni “vissute” nei miei viaggi. Sono in largo anticipo, così, dopo una colazione ai tavolini del bar interno con brioche e tè alla menta, attendo che il bianco e nuovo pullman parta. Sono le 8.30 e puntuale si avvia lungo la strada lasciando ben presto la città. Il panorama è arido, a tratti desertico tanto da intravedere delle morbide dune all’orizzonte, ma a tratti anche ricco di alberi di ulivo e del frutto di Argan. Dopo un’ora siamo a Chichaoua, cittadina di medie dimensioni; la strada corre dritta, ora attorno deserto pietroso e qualche pecora al pascolo e qua e là auqlche cane randagio, poi ancora alberi. Ci fermiamo per una sosta non preventivata in una specie di area dove oltre ad un bar e a dei bagni, c’è una cooperativa femminile dedita alla lavorazione e alla vendita dell’olio di Argan, con tanto di dimostrazione del processo di nascita dei prodotti finiti, fatto da alcune donne sedute a terra intente alle varie fasi. Il sole si fa sentire, ripartiamo che non manca molto di strada. Infatti, dopo mezz’ora e qualche rallentamento dovuto a posti di blocco della polizia, ecco l’Oceano, eccomi ad Essaouira. Sono le 11.30, scendo e a piedi col mio zaino in spalla vado in cerca del Riad Nakhla, dove ho riservato la camera via web dall’Italia. Degli uomini si offrono di portarmi lo zaino caricandolo su vecchi carretti azzurri a due ruote che spingono a mano, ma gentilmente declino e chiedendo un pò in giro informazioni alla fine arrivo in un vicolo coperto e buio, dove c’è l’ingresso del Riad: l’interno è molto grazioso e in perfetto stile arabo, col cortiletto e l’immancabile fontana al centro e 4 piani che si sviluppano attorno ad esso, ognuno dei quali adornato da cassapanche con grandi cuscini che diventano divani e piccoli tappeti dai colori caldi. In cima una bella e tranquilla terrazza con tavolini e altri divanetti. La mia camera è al 3° piano, la n.14, ma come a Marrakech, non è ancora pronta. Lascio lo zaino e faccio la mia prima conoscenza con la città: Essaouira mi cattura da subito: ha un’atmosfera indescrivibilmente rilassata, emana luce con le sue case color bianco e gli infissi di molte porte e finestre di un blu acceso, che la fanno vagamente assomigliare ad una località greca ma con lo spirito arabo-africano. E poi l’azzurro del cielo e il blu intenso del mare sopra al quale volano centinaia di gabbiani. La medina è racchiusa da alte e antiche mura fortificate, che rendono gli scorci della stessa vista da fuori davvero suggestiva. I vicoli della stessa, alcuni stretti altri larghi, tutti pedonali senza auto e con pochissimo scooter, infinitamente meno che a Marrakech, alcuni colmi di merce in vendita, colorata e pittoresca. Qualche anziano passa trasportando pesce fresco sul retro della propria bicicletta, mentre altri sono buffissimi vestiti con le loro tuniche lunghe dal cappuccio a punta che li fa sembrare personaggi de “Il Signore degli Anelli”! Mi fermo a pranzare in un piccolo ristorante, il Dar Al Homma, in Rue el Hajjali: l’arredamento è tipico marocchino, piccoli tavoli bassi, divanetti con cuscini imbottiti, lampade in ferro appese al soffitto di legno intarsiato e tappeti appesi anche alle pareti. Sono l’unico cliente al momento, ma non c’è fretta neanche nel servirmi, tutto scorre lento. Dopo l’economico pasto torno al Nakhla, e dopo altra attesa (la camera ancora non era pronta) trascorsa piacevolmente ad oziare in terrazza, finalmente mi approprio della mia stanza, semplice rispetto all’esterno, con un piccolo bagno, un letto matrimoniale, le pareti bianche e spoglie, il soffitto in legno e la finestra che da sul pianerottolo attorno al cortiletto interno, e perfino una piccola tv sull’armadio che però non riesco a far funzionare, poco male. Il tempo di preparare l’occorrente per la macchina fotografica e sono di nuovo a percorrere a piedi le strette viuzze della medina, arrivando fino al Bastione di Skala de la Ville, costruito lungo la scogliera, di fronte all’Oceano. Una breve e lieve salita porta in cima dove c’è un breve tratto di passeggiata con i cannoni in ottone risalenti al XVIII secolo che puntano verso il mare. é molto bella la vista dell’Oceano da qui; più in basso le botteghe dove gli artigiani del legno e i pittori espongono le loro opere. Poi ancora i tappeti berberi, di vari formati, appesi un pò ovunque, le babbucce e le infradito in cuoio dai design originali e le immancabili botteghe di cooperative che vendono olio di Argan e suoi derivati. Passerei. e sicuramente passerò, le ore a fare shopping. Mi dirigo verso il porto, prima arrivo nel grande spiazzo Mullay Hassan: da un lato le mura, dagli altri caffè e ristoranti con terrazza e di fronte la strada che conduce al porto. Questo breve tratto di passeggiata pieno di gabbiani offre degli scorci stupendi sulla medina, con le sue costruzioni color bianco protette dalle mura fortificate. Poco prima del porto dei piccoli baracchini fanno da ristoranti all’aperto di pesce fritto appena pescato. Ci sono gatti ovunque, sono tantissimi, l’abbondanza di cibo aiuta, se ne vedono dappertutto, perfino placidamente sdraiati a riposare sui tappeti in vendita delle botteghe, uno addirittura acciambellato dentro una ciotola di ottone esposta su un banco vendita, sono ben tollerati da tutti, anche dai gabbiani che ci convivono passeggiandoci quasi accanto. Ecco, gatti e gabbiani sono una caratteristica di questa cittadina. Eccomi al piccolo porto dove il verso dei gabbiani aumenta la sua portata sino a diventare quasi assordante. Mi addentro curioso qua dove i turisti non osano, ma in punta di piedi, nessuno qua mentre lavora gradisce essere fotografato, è un peccato ma rispetto, mi limito ad osservare la vendita del pesce appena pescato, uomini anziani con vecchie giacche, giovani in tuta o con le maglie da calcio dei club europei e donne anziane coi loro veli, tanti colori, come quelli dei pescherecci  di legno, mentre le piccole barche sempre in legno, hanno tutte lo stesso colore azzurro intenso. Torno all’interno della medina percorrendola in tutta la sua lunghezza fino al quartiere della Mellah, il quartiere ebraico, dove i vicoli diventano ancora più stretti. Essaouira è piccola, ma riesco a perdermi ugualmente tra i suoi labirintici vicoli. Mi ritrovo al Bastione di Skala de la Ville, mi siedo in uno degli anfratti delle fortificazioni; un tizio passa vendendo paste dolci su di un vassoio: chi è qui come me, lo è per osservare il mare, aspettare il tramonto o semplicemente riflettere, pensare...l’unico suono che si sente è quello del mare che si infrange tra gli scogli, unito al verso di qualche gabbiano di passaggio. Non voglio paragonare questo luogo al Malecon di L’Havana, uno dei luoghi che amo di più al mondo, sarei blasfemo, però un qualcosa mi fa tornare la mente proprio là...all’orizzonte l’ombra in controluce di un uomo che pesca tra gli scogli più lontani, incurante degli schizzi delle onde. Il sole intanto lentamente scende, scaldando i colori, anche quello bianco delle case alle mie spalle, creando una luce magica. E così la grande palla di fuoco va a spegnersi all’orizzonte nelle acque ora blu intenso dell’Oceano Atlantico. Si alza un vento fresco e la differenza di temperatura si sente; in una quindicina di minuti di lenta passeggiata sono al Nakhla a recuperare una provvidenziale felpa e poi di nuovo fuori: le strade di Essaoiura si riempiono di gente, soprattutto locali, ed è un sollievo non dover schivare scooter e biciclette ad ogni metro. Il muezzin diffonde il richiamo alla preghiera per i fedeli. Qualche negozio già ritira la merce e si appresta a chiudere mentre sono da poco passate le 20. Mi fermo a cenare su un tavolino all’aperto del Ben Moustafà, a due passi dalla piazza, e provo stavolta un’altra specialità marocchina, il cous cous con cipolle e uva passa, piatto abbondante e accompagnato dalle sempre presenti squisite olive marocchine. Si mangia bene e tanto, e spendendo poco.


27 Settembre


Il Riad Nakhla è davvero bello, però il bagno della mia piccola stanza è abbastanza problematico da usare:il piatto doccia è davanti al lavandino, così anche per lavarmi i denti vi ci devo entrare! In compenso però la terrazza dove viene servita la prima colazione non è male, si vede il mare e la bianca e un scrostata dal tempo, torre del minareto della vicina moschea. A quest’ora del mattino si odono solo gli uccellini cinguettare e i gabbiani col loro inconfondibile verso, per le strade pedonali della medina c’è ancora poca gente; esco dalle mura attraverso una delle grandi porte ad arco, passando per il vicino porticciolo, dove invece c’è già un certo fermento, con i camion per il trasporto del pesce già in fila e i pescatori che scaricano dai carretti a motore le cassette colorate di plastica con dentro il ghiaccio tritato, mentre altri sistemano le grandi reti da pesca colo bordeaux sulle loro barche. Mi incammino verso ovest in direzione della spiaggia, il cui primo tratto, quello nel piccolo golfo vicino al porto, è completamente invaso da gabbiani che attendono l’arrivo dei pescherecci dal mare. L’ampia spiaggia di Essaouira è una lunghissima distesa di sabbia, pochissima gente, solo qualcuno che vi passeggia, e nessuno per ora nelle gelide acque dell’Oceano. Il vento è costante e non invita certo a sdraiarsi per prendere il sole. Al largo si vede bene la piccola isola di Mogador, io continuo a camminare arrivando fino ad un gruppo di grandi massi, non c’è più nessuno, solo io e gli immancabili gabbiani. La spiaggia diventa quasi deserto, e senza rendermene conto sono quasi arrivato al piccolo paese di Diabat, passeggiando per 4 km in riva al mare, colpa o merito del piacevole suono della risacca che mi ha scortato nel mio procedere. Torno, da qui Essaouira appare all’orizzonte come una piccola striscia di case bianche, il vento non cessa neanche un minuto; arrivo quasi all’altezza della città, qui due tizi sono in cerca di turisti da far salire sui loro cammelli, qualche ragazzo prepara la sua attrezzatura da kitesurf, qualche anziano passeggia, una donna col velo seduta legge un libro con accanto il suo  bimbo nel passeggino che dorme, e un gruppo di marocchini, con tanto di casacche, improvvisa una partita di calcio. Turisti qui in spiaggia davvero pochi. Lunga ma bella passeggiata. Non appena mi rimetto sulla strada è come se il vento di improvviso  si fosse calmato, qui al massimo è una leggera e piacevole brezza; noto, essendo ancora fuori dalle mura della medina, che anche i taxi qui sono diversi rispetto a Marrakech: pur sempre in maggioranza Dacia, qui il loro colore è azzurro e non beige. Passo per l’ufficio della Supratours, così mi porto avanti e già faccio il biglietto di ritorno per dopodomani, per poi riperdermi piacevolmente nei pittoreschi vicoli pedonali della medina. Il vento preso in mattinata mi ha un pò stordito, e fatto venir fame: mi rifugio al piccolo ristorante Au Dalphin, luce soffusa emanata dalle lampade marocchine, bassi divanetti imbottiti di cuscini e i tappeti berberi appesi alle pareti, un classico ormai, e anche oggi sono da solo, unico cliente. Per 50 Dh la gentile cuoca che prende anche le ordinazioni, mi prepara un buon tajine di verdure, servito nella tipica ciotola di coccio ancora ustionante. Ci voleva, mi riprendo e mi incammino a fare un pò di acquisti: i vicoli della medina e quelli della mellah senza differenze, formano un unico labirintico souq, con i colori caldi dei tappeti berberi e dei dipinti, e gli odori delle spezie e del cuoio, mi perdo volentieri in questo vortice di sensi. Questa sera però voglio godermi il tramonto da una prospettiva diversa, è ancora presto, il sole è alto ma esco dalla medina e arrivo allo Skala du Port (10 Dh l’entrata), l’antico bastione appena prima del porto dove salgo a scattare delle foto: scelta azzeccatissima! Da qui la vista sulle mura della medina che danno sul mare, con il bianco delle case arrossato dal sole calante di fronte a loro, è sublime. I gabbiani che volteggiano frenetici anche a pochi metri dalla mia testa sono tantissimi, mai visti in quetse quantità, il loro frastuono è impressionante. Il vento qui soffia forte, dall’alto del bastione con i suio cannoni puntati all’orizzonte, la vista sul porto da una parte e quella sulla medina dall’altra, valgono ben più dei 10 Dh spesi. I gabbiani sembrano fare a gara per farsi immortalare e io continuo a scattare foto almeno a loro, visto che i marocchini, dagli anziani ai bambini pare non gradiscano essere oggetto di fotografie considerano i “no please” che sto collezionando. E’ possibile rimanere quassù fin solo alle 17.30, orario di chiusura, manca ancora un’oretta al tramonto così ripasso dal lato dove alcuni pescatori stanno pulendo il pesce, e qualche metro oltre salgo anche io sul muretto bianco un pò malandato e mi fermo seduto qui di fronte agli scogli, in attesa che il sole tramonti. Oltre a me qualche turista, dei giovani locali e qualche ragazzino che scavalca il muretto per andare a giocare tra le rocce piene di rifiuti. Il sole intanto lentamente si trasforma in una perfetta palla di fuoco poco prima di nascondersi del tutto all’orizzonte. Spettacolo finito, e subito la temperatura cala. Mi incammino verso la vicina piazza dove alcune ragazze, si donne, improvvisano una partita a calcetto tra la gente che passeggia; il muezzin puntuale richiama l’adhan, io torno nella mia camera a recuperare la felpa e a cercare un ristorante dove rifocillarmi. La scelta capita su Le Glacier, senza infamia e senza lode, anche se non mi capacito del perchè la pizza al tonno (ingredienti pomodoro formaggio e tonno) costi 5 Dh in meno della pizza margherita (ingredienti pomodoro e formaggio!), mah, stranezze afro-arabe. Il souq è un continuo via vai di gente per la maggiorparte locale, e nelle stradine fanno la loro comparsa anche piccoli carri che vendono lumache da mangiare in brodo bollente, una cosa disgustosa solo al pensiero, ma l’oscar della cosa più bizzarra rimane a loro, questi anziani vestiti con le tuniche lunghe e il cappuccio a punta...


28 Settembre


Sono il primo degli ospiti del Nakhla a salire su in terrazza, dove accovacciato su una delle sedie in rattan, un gatto si gode il primo sole del mattino quando ancora i tavoli presentano un leggero strato dell’umidità notturna. Oggi me la prendo con ancora più calma del solito: colazione, lunga doccia e poi in cammino prima verso il porto e da lì tornando in direzione opposta fino al bastione Skala du Ville, attraversando tutta la medina. Qui, in basso al bastione, alcuni commercianti stanno aprendo le grandi porte di legno ad arco, che assomigliano a tanti box, ognuno dei quali ben presto si trasforma in una colorata bottega di dipinti o articoli in legno. Salgo su in cima alle mura e mi metto ad osservare l’Oceano seduto tra gli anfratti delle torrette, al riparo dal vento. Il mare è mosso, le onde si infrangono sugli scogli, mentre al largo passa qualche piccolo peschereccio scortato da una nuvola di gabbiani. Mi accorgo che non ho tanta memoria fotografica ancora da sfruttare dalle mie schede, così faccio un pò di selezione tra le foto fatte fin d’ora. Esco dal bastione e percorro nuovamente gli stretti vicoli ma non quelli dove ci sono merci e botteghe, ma bensì quelli solo con le porte di ingresso delle piccole abitazioni, qui non ci sono turisti. Bambini e adolescenti appena usciti da scuola vi stanno facendo ritorno, alcuni ancora con indosso il grembiule bianco, alcuni uomini passano invece trasportando le loro cose servendosi dei vecchi carretti a due ruote spinti a mano. Mi fermo per un pasto leggero ma non veloce vista la flemma che tutti qua hanno nel servire. Il tempo scorre lento, vago per la medina dopo aver saldato in euro il Nakhla per queste notti, e continuo il mio vagabondaggio per i vicoli della medina fra donne col loro velo, anziani, alcuni malmessi che elemosinano e gatti che banchettano con gli avanzi del pesce. In attesa dell’ennesimo tramonto sosto ad uno dei tanti caffè all’aperto per un caldo tè alla menta dissetante, qui al Cafè de L’Horologe, all’ombra di un grande albero secolare, in una tranquilla piazzetta di fronte alla farmacia della città; da qui osservo il lento scorrere della gente, turisti e locali, in tutta tranquillità. Essaouira trasmette questo senso di calma, di pace. Dopo un breve passaggio al porto, è ora di dirigermi verso la costa, dove ritrovo come ieri un buon posto sul muretto in modo da godermi lo spettacolo ancora in prima fila. E che lo spettacolo abbia inizio. Amo il tramonto, è sempre un momento che racchiude in se poesia e magia. I gabbiani continuano a volare numerosi a pochi metri, a volte centimetri, dalla mia testa. Scambio fortuitamente un paio di chiacchere con una coppia giovane di olandesi ai quali avevo chiesto di farmi una foto (e loro che inizialmente han pensato volessi vendergli qualcosa, defilandosi coll’immancabile no please!). Il sole cala e la luce diventa meno forte, più calda. E così anche oggi la grande palla di fuoco saluta tutti nel modo più septtacolare per dare l’arrivederci al giorno nuovo. E’ ancora chiaro, crepuscolo, prima di scendere dal muretto un marocchino (coi dred!) mi si avvicina sussurrandomi “hashish, marjuana, cioccolato...”ormai ho il sorriso stampato e pronto il mio “no merci”. Stasera la scelta del ristorante capita su La Tollerance, con una piccola sala interna sempre in stile marocchino, bello, d’altronde ci vorrebbe un viaggio solo per provarli tutti questi locali tipici. Tavolinetto con candela, musica di sottofondo (un charlestone anni ‘20) e un micio che gira tranquillo cercando e trovando coccole dall’unica cliente oltre a me, una giovane viaggiatrice solitaria presumo francese. Scelgo anche stavolta un menù locale con hariri (zuppa marocchina di verdure), tajine di kafta con uova (piccole e gustosissime polpette di carne) e uno yougurt dal sapore delicatamente aspro ma delizioso, il tutto ovviamente accompagnato dal tè marocchino alla menta, olive e pane locale, tutto per 60 Dh. E’ l’ultima notte qui ad Essaouira, passeggio cercando di catturare e fare un pò anche mia questa atmosfera tranquillizzante. Di sicuro qui è un posto dove fermarsi, uno di quelli che ti fa stare bene. Guardo la piazza Monlay Hassan, quella principale che però non è un vero centro visto che è totalmente defilata tra la medina e il porto: come è differente dalla decisamente più grande e caotica Djamaa el-Fna di Marrakech. Qui non ci sono banchi o venditori, ma solo pochi bambini che si rincorrono e qualche turista al passeggio. Due mondi diversi. E immancabile anche l’omino che gira col vassoio di pasticcini secchi da vendere,e, anche lui, che ti sussurra nell’orecchio “hashish, marjuana, cioccolato...”.


29 Settembre


Già quando ne avevo letto il capitolo sulla Lonely Planet, avevo intuito un qualcosa di particolare: Essaouira è uno di quei luoghi che so già mi resterà nel cuore, per le bianche mura delle case un pò scrostate dal tempo, dall’aspetto un pò decadente, per le splendide vedute panoramiche dai suoi antichi bastioni, per il vivace e colorato piccolo porto invaso dai gabbiani, per i suoi stretti vicoli pedonali della medina, abitati da commercianti e gatti, per l’atmosfera particolare che emana e trasmette. Mi spiace andarmene da qua, ma puntuale, alle 11.45 il pullman della Supratours riparte con me a bordo in direzione Marrakech. Lascio la costa, il mezzo ripercorre la strada già fatta tre giorni fa, costeggiata da aridi campi di ulivi e alberi di Argan, intervallati di rado da qualche piccolo villaggio. Alle 14.15 vedo dal finestrino le prime file di palazzine a 3/4 piani, con in cima una infinità di antenne paraboliche, siamo alla periferia di Marrakech. Al capolinea del pullman i tassisti sono già pronti come avvoltoi, bisogna essere scaltri nel contrattare visto le cifre assurde dalle quali partono. Per 20 Dh mi faccio portare a Djamaa el-Fna e subito in partenza quasi non mi vedo una jeep entrarmi dal lato passeggero: il tassista si era solo dimenticato di guardare la strada uscendo dal parcheggio...!Certo che passare da Essaouira a qua così è scioccante! Carico dei miei zaini ripercorro a piedi le stradine che dalla piazza mi riportano allo Sherazade: non ho la stessa camera, ma la n.1, per arrivarci bisogna salire in cima i due piani fino alla terrazza per poi da lì riscendere fino ad un piccolo cortile pieno di piante ed arredato con molto stile; la camera è più spaziosa, dai colori bianchi blu, quasi un segno del destino a volermi ricordare Essaouira. A lato della camera, fuori nel cortiletto, c’ è un salottino con divanetti blu attorno ad un tavolino basso, molto grazioso. Esco e mi incammino senza meta tra i vicoli del souq dove i commercianti, seduti sull’uscio tra le loro merci, invitano i turisti più o meno insistentemente ad entrare; curioso tra le merci esposte in cerca di qualche buon affare. E mi ritrovo poi sempre in piazza, da un lato o dall’altro, tra gli scooter che schivano la gente, le donne avvolte nei loro veli che fanno tatuaggi hennè e perfino qualche improvvisato mago tra chi vende la propria mercanzia stesa per terra su teli di plastica. Ci son sempre loro, i buffi venditori di acqua con i grandi cappelli che sembrano delle gigantesche abatjour, gli incantatori di serpenti, ma tra i personaggi più interessanti e curiosi ci sono i cantastorie, uomini o donne anziani attorno ai quali si formano piccoli gruppo di locali intenti ad ascoltare le storie tramandate. Oggi perfino due ragazzi intenti ad attirare l’attenzione facendo capriole e salti mortali, sembrano avere delle molle al posto degli arti. Lo spettacolo serale della Djamaa el-Fna ha inizio, il sole è calato accanto al minareto della moschea Koutoubia, le lampadine delle carrozze che vendono spremute fresche o frutta secca si sono accese, e dai banchi di cibo al centro della piazza già salgono alti in cielo i fumi.


30 Settembre


Colazione con una fresca spremuta di arance ad una delle carrozze in Djamaa el-Fna, che sembrano essere una delle poche cosa aperte a quest’ora; sono quasi le 9, solo poche botteghe stanno aprendo e alcuni commercianti bagnano il proprio tratto di strada acciottolata. Mi incammino verso nord, passando attraverso vicoli privi di merci, dove ci sono i founduq, ovvero le vecchie abitazioni medioevali dai grandi portoni in legno a forma di arco, e dentro un semplice cortile; questa è una delle zone di Marrakech più autentiche dove si riesce a vedere lo stile di vita quotidiano del popolo marocchino. Attraverso un piccolo mercato di frutta e ortaggi, stesi per terra su grandi teli e pesati su vecchie bilance semi arrugginite. Eccomi arrivato alla meta prefissata, la Medersa di Ali Ben Youssef. Entro (50 Dh) e subito mi ritrovo nel piccolo ma sontuoso cortile con al centro una vasca rettangolare alimentata da due getti di acqua che creano un effetto sonoro tipo fiume che scorre; ai quattro lati le stupende facciate di quella che un tempo fu il più grande centro di studi coranici di tutta l’Africa settentrionale. La parte alta è fatta di legno intarsiato dal colore scuro, sotto più chiaro, legno di cedro, con i balconcini in grate traforate e, ancora più in basso, le mura piastrellate in marmo, tutto davvero sontuoso. Salgo all’interno e arrivo alle stanze degli studenti, piccole un paio di metri quadri ciascuna e con minuscole finestrelle che affacciano sul cortile interno. Ma ancora più piccole sono le stanze dove dormivano, del tutto prive di finestre, simili a celle. Passo un pò di tempo qua dentro, non c’è ancora nessuno e il silenzio conferisce al luogo la giusta atmosfera. Poco dopo cominciano ad arrivare i primi turisti, a gruppi con guide locali: esco rituffandomi nei vicoli dove ora alcuni artigiani lavorano il cuoio sull’uscio delle loro piccole botteghe, e man mano che mi riavvicino alla Djemaa el-Fna, il souq si fa sempre più vivace e colorato. Cammino cercando di dare sempre l’idea di dove stia andando, sicuro, per evitare di essere fermato ad ogni passo da commercianti a volte un pò insistenti. Con alcuni di loro però riesco anche a scambiare due piacevoli chiacchere, sanno tutto del nostro Paese, soprattutto del nostro campionato di calcio. Il caldo si fa sentire, mi fermo per pranzare al ristorante Chez Ibrahim 2, dalla cui terrazza coperta si vedono i tetti malconci delle abitazioni, o meglio le loro terrazze piatte, ognuna con la sua antenna parabolica. In questa giornata non ho altro da fare di prestabilito, quindi mi godo le atmosfere del luogo; Marrakech ti toglie le forze di dosso, complice anche questo caldo e lo stare sempre all’erta per non finire investito da un motorino. Ho gli ultimi dirham da spendere, se sono bravo riesco anche a non ricambiare in euro evitando così il costo della commissione. Mi concedo nel pomeriggio un succo fresco di mela e arancia seduto nel nascosto e tranquillo ristorantino vegano-vegetariano Earth Cafè, non distante dallo Sherazade: una scala contornata da grandi zucche, e musica soft; sarebbe carino fermarsi a cenare qui, ma stasera, essendo l’ultima, voglio rivivermi la Djemaa el-Fna non da spettatore su una delle terrazze che la circondano, ma da protagonista sulle panche dei ristoranti all’aperto che già ora son pronti ad accaparrarsi i clienti. Ultima notte come attore in questo immenso e caotico teatro a cielo aperto, prima di contare gli ultimi dirham avanzati e compiere l’ultimo giro di acquisti.


1 Ottobre


Alle 6 del mattino la Djemaa el-Fna ha un aspetto completamente diverso: vuota, illuminata solo dalle luci calde delle lanterne che fungono da lampioni, e dalle poche lampadine di qualche carrozza di arance già aperta. I banchi ristorante hanno già tutti smontato le loro attrezzature, e nell’immenso spiazzo ora vuoto c’è solo il camion della nettezza urbana che pulisce l’asfalto. Il tassista con cui avevo preso accordi ieri, tra l’altro lo stesso che mi aveva portato a Setti Fatma, rincontrato casualmente, non arriva, così salgo su un altro taxi che per 50 Dh mi porta all’aeroporto. Questo breve assaggio di Marocco sta finendo. Si un assaggio perchè servirebbe ben altro tempo per assaporare meglio questo Paese, ma ahimè stavolta il tempo a mia disposizione era questo, e difficilmente avrei potuto visitare meglio la regione dell’Atlante, i villaggi berberi o il deserto. Va bene così, mi rimarranno impressi la grande piazza Djemaa el-Fna, un luogo unico, così come gli stretti e vivaci vicoli del souq, ed Essaouira che con la sua atmosfera particolare mi ha conquistato. Anche stavolta col bagaglio sono stato nei limiti, ora non mi resta che finire l’ultima manciata di dirham avanzatami nei duty free del piccolo aeroporto Menara di Marrakech in attesa di imbarcarmi sul volo Ryanair che mi riporterò a Bergamo. Si rientra a casa.


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