ROMANIA
 

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SETTEMBRE 2016

24 settembre

La sveglia alle tre del mattino non è il modo migliore per cominciare un breve viaggio, ma l'occasione di un biglietto aereo Ryanair a/e per la Romania al costo di € 16 è una di quelle occasioni che un viaggiatore non può lasciarsi scappare. Così, alle 10 ora locale, dopo essere atterrato all'aeroporto Otopeni di Bucarest, sono già alla guida della Seat Toledo bianca presa a noleggio, in direzione nord lungo la strada È 60 che porta nella regione della Transilvania. La strada non è trafficata, le segnalazioni sono buone, e il paesaggio mano a mano che si sale e ci si allontana dall'agglomerato urbano della capitale, diventa più rurale. Ai bordi della strada, oltre a qualche piccolo branco di cani randagi, diverse donne anziane vendono le loro composizioni di fiori. Dopo circa due ore prendo la deviazione per la cittadina di Bran, sede dell'omonimo castello che, narra la leggenda, fu abitato per un breve periodo anche dal conte Vlad Tepes, il conte vampiro vissuto nel 15º secolo, meglio conosciuto come Dracula. L'ultimo tratto di strada attraversa una verde campagna fatta di campi di granoturco, girasoli e pascoli dove brucano in libertà greggi di pecore e qualche mucca. All'improvviso ecco Bran, e lo scenario cambia: le auto quasi si imbottigliano nel breve tratto di strada che attraversa il paese, nella non facile ricerca di un parcheggio a bordo di quello che a tutti gli effetti è un mercato di bancarelle di articoli decisamente kitsch, eccezion fatta per i prodotti gastronomici come il miele e marmellate dall'aspetto invitante. Trovo un posto per l'auto e mi incammino anche io tra il fiume di turisti verso l'entrata del castello. Già, il castello di Dracula: indubbiamente con tutta questa gente l'atmosfera ne risente, manca del tutto quell'aspetto mistico e tenebroso che il luogo meriterebbe. Me lo aspettavo anche più selvaggio e meno accessibile, invece è posto in cima ad un massiccio roccioso proprio a lato della strada, e ci si arriva con una breve camminata in salita; visto dal basso ha però la sua imponenza, con le alte mura in calce bianca che quasi sembrano erigersi direttamente dalla nuda roccia. Decido di non entrare, troppa confusione e in più gli interni sono quelli decisamente meno tenebrosi risalenti alla sua ultima " ospite " ovvero la regina Maria, in un'epoca assai lontana rispetto a quella delle gesta del conte Vlad. Mi accontento di osservarlo girandovi attorno dal basso dei giardini che lo circondano; peccato per una intera facciata coperta da impalcature per una ristrutturazione. Terminata la mia perlustrazione riprendo l'auto guidando in direzione di Rasnov (dalla strada ammiro le rovine dell'omonimo castello), poi, dopo aver evitato di passare per la città di Brasov grazie ad una nuova, moderna quanto deserta tangenziale, riprendo la E60, destinazione Sighisoara. La strada comincia a salire lungo una serie di tornanti fra i boschi che ricoprono le montagne dei Carpazi; ora non più fiori sul ciglio della carreggiata, bensì un susseguirsi di ombrelloni colorati che fanno ombra ai venditori di miele e di lamponi. Forse complice la stanchezza, i tornanti sembrano non finire mai. Infine ecco che la strada nuovamente si apre ed attraversa stupendi paesaggi di colline e campagna; pochi in questo ultimo lungo tratto i paesi che si incontrano, ma quei pochi sono di una bellezza di altri tempi: prima Fiser, poi Bunesti, villaggi semplici, fatti di basse case in stile sassone, tutte in fila, con i grandi tetti spioventi e le pareti dipinte di colori pastello ormai sbiaditi dal tempo. C'è qualche donna in giro, per lo più anziana e con il tipico foulard in testa, mentre qualche altro anziano ancora percorrere la strada a bordo di vecchi e bassi carri trainati da cavalli. A rendere tutto questo ancora più suggestivo ci si mette la musica di Bach che ascolto da una radio a tema mentre guido: bellissimo. Pochi chilometri ancora ed ecco la meta di questo mio primo giorno qui in Transilvania:Sighisoara. Prima un'anonima periferia fatta di cubi di cemento come abitazioni, poi il gioiello architettonico di quella che l'Unesco riconosce essere come una delle meglio conservate cittadine medievali di questa regione. A fatica trovo Casa Vlad, la piccola pensione con solo due camere dove passerò la notte: il giovane proprietario prima di lasciarmi la chiave insiste per un brindisi in mia compagnia a base di champagne invecchiato quarant'anni che estrae dal suo piccolo frigo. Non riesco subito a chiudere occhio nonostante la stanchezza, così approfittando ancora della luce del giorno, comincio l'esplorazione della città; raggiungo a piedi in pochi minuti la cittadella medievale abbarbicata in cima ad una collina. L'imponente e massiccia torre dell'orologio, alta 64 metri, rappresenta una delle porte di accesso; dal pittoresco passaggio sotto alle sue possenti mura si entra infatti nel piccolo centro storico con strade acciotolate e disconnesse, piccole case color pastello sbiadito, diversi locali ristorante con tavoli all'aperto e tre chiese, tutte chiuse. Alle spalle di quella del monastero domenicano, da cui si vede un panorama dall'alto sui tetti di Sighisoara, c'è una piccola statua raffigurante il volto del conte Vlad, che proprio qui nacque nel 1431. La cittadella è piccola, mi aggiro un po' nei suoi vicoli, alla ricerca anche di qualche originale souvenir tra la moltitudine di oggetti un po' kitsch, infine mi rintano per la cena proprio in quella che fu la casa che diede i natali al mitico conte Vlad, oggi trasformata in un normale ristorante con terrazza denominata appunto Casa Dracula. A parte una targa commemorativa sulla parete esterna dell'edificio color giallo e il menu sforzatamente a tema, per fortuna il kitsch qui non ha preso il sopravvento: cevapci (spiedini di carne macinata) e polenta con formaggio in questa prima serata in Romania. Fuori si è fatto buio e la temperatura è scesa; i vicoli della cittadella sono completamente deserti e semibui. Mi diletto a fare qualche foto notturna col cavalletto non senza difficoltà vista la natura alquanto sconnessa delle strade, per poi ritirarmi stanchissimo nella mia piccola camera in Casa Vlad, tanto per restare in tema. Non ho scorte d'aglio nei crocefissi con me questa notte, speriamo di prendere ugualmente sonno.

25 settembre

Cominciare una giornata di viaggio dopo una dormita di otto ore è tutta un'altra storia! C'è il sole, e perfino la cittadella con una luce diversa mi sembra più bella; comincio la mattina salendo sulla torre dell'orologio per ammirare il panorama su Sighisoara a 360°, poi riprendo a camminare fra i vicoli, dove i commercianti cominciano ad aprire le loro botteghe esponendo fuori le merci. Il centro, dominato da una piccola chiesa in cima alla collina, è proprio piccolo e non mi resta molto altro da vedere. Qualche piccolo acquisto, poi un giro al mercato degli apicoltori locali che vendono il loro miele e i suoi derivati, poi con calma, ed in perfetta tabella di marcia, torno alla macchina e riparto, stavolta in direzione ovest diretto alla cittadina di Sibiu sempre nella regione della Transilvania, lungo la strada statale 14. Dopo poco più di 20 chilometri prendo una deviazione sulla sinistra dove una strada si addentra nel cuore di una bella campagna disseminata di campi di granoturco, fino ad arrivare al piccolo villaggio di Biertan: una fila di semplici case con i tetti a spiovere, una piazza con due piccoli negozi alimentari uno accanto all'altro e la grande chiesa del 15º secolo, in cima ad una collinetta, che fu sede dei vescovi luterani fino al 1867, e che ancora oggi conserva parte delle mura di cinta; entro, l'interno è piuttosto semplice e rustico, c'è un odore di incenso misto a quello di polvere, mentre in un angolo una giovane donna compone e vende piccole creazioni fatte all'uncinetto. All'esterno, tra le torrette a punta rivestite di legno scuro, il panorama sui pochi tetti delle case del villaggio e la campagna circostante che occupa le dolci colline, è spettacolare, tanto quanto la pace e la tranquillità che vi si respira: prima dell'arrivo di una numerosa comitiva di anziani turisti francesi, gli unici rumori erano quelli dell'abbaiare di qualche cane e il canto dei galli. Decisamente una sosta proficua in questo piccolo sonnolento e bel villaggio sassone, dove il tempo sembra essersi fermato a secoli fa. Intanto il cielo si è velocemente coperto e comincia a piovere per qualche kilometro mentre riprendo a percorrere la strada in direzione di Sibiu. Rispetto all'ultimo tratto di strada fatto ieri, oggi si susseguono più paesi ravvicinati tra di loro; noto la presenza di numerose persone di etnia Rom, facilmente riconoscibili dal vistoso abbigliamento: le donne col capo coperto da foulard e vistose gonne rosse zigane, gli uomini con copricapi neri simili a capelli dei cowboys. A bordo strada alcuni di loro vendono oggetti fatti in rame. Dopo quasi 100 chilometri dalla partenza ecco Sibiu che rispetto a Sighisoara è decisamente più grande: traffico, rotatori, semafori. Per fortuna il mio senso dell'orientamento sulle mappe, all'estero funziona decisamente meglio che in Italia, così trovo dopo non molto la pensione Alexia, dove un gentile uomo alla reception, che sembra uscito da un cantiere edile, con in testa un berretto della Germania, mi accoglie sforzandosi a parlare inglese, ma alla fine ci capiamo. Il centro di Sibiu dista una mezz'ora di cammino lungo un anonimo e poco frequentato boulevard con terreni abbandonati, un parco e un supermercato della catena Billa. La gente si concentra in Street Nicolae Balcescu, una via pedonale piena di locali, negozi, e qualche artista di strada; da qui arrivo nel fulcro della città, nella grande Plata Mare, la piazza medievale che ahimè oggi è occupata interamente da un vero Luna Park con bancarelle e giostre per grandi e piccini; al centro sotto un grande tendone bianco, tra le panche in legno, scorrono fiumi di birra in stile Oktoberfest! Ovviamente la piazza perde così il suo fascino, c'è tanta gente che la riempie per quella che deve essere una festa parecchio sentita. Mi aggiro tra Plata Mare e le altre due adiacenti piazze, Plata Mica e Plata Huet, quasi collegate tra loro; in Plata Huet domina la grande Biserica Evanghelica, una chiesa gotica del trecento con un tranquillo spiazzo antistante. L'interno con alte volte e un grande organo risalente al 1772, è imponente in altezza e custodisce alcune tombe dei governatori della città in periodo medioevale, fra cui anche quella del figlio di Vlad Tepes che fu assassinato proprio qui. Salgo sulla torre del campanile: dopo una prima rampa di scale a chiocciola in pietra, una seconda buia di scale fatte da assi di legno con uno scorrimano in ferro alquanto malconcio. È tutto buio, arrivo fino alle due grandi campane in ottone, c'è guano di piccioni un po' ovunque e un poco rassicurante cartello scritto in romeno e tedesco che invita a prestare attenzione per rischio di pericolo di morte! In effetti la salita è si affascinante quanto difficile! Finalmente in cima riappare la luce e posso ammirare il panorama della città dalle strette e lunghe finestre delle torrette poste ai quattro lati dell'antico campanile. Discendo con molta attenzione e lentamente, una volta fuori mi incammino senza meta fra le strette vie della città e le sue case in stile sassone coi tetti a spiovere sui quali si aprono delle finestrelle somiglianti a delle palpebre, che sembrano farle uscire da un film fantasy. A parte la festa in piazza, altrove l'atmosfera è rilassata. Il cielo intanto sembra annuvolarsi nuovamente, mi rintanano per la cena in un tipico ristorante del luogo, il Pasaj, sito in un tranquillo angolo ai piedi delle torri medievali della città vecchia.

26 settembre

Aprendo la tenda della camera, ancora mezzo assonnato, ho una inaspettata sorpresa: la città è avvolta da una fitta nebbia, anche la temperatura all'esterno è scesa di qualche grado. Primo assaggio vero di autunno. Recupero l'auto e uscendo dalla città mi dirigo in direzione ovest prendendo poi qualche decina di chilometri più avanti la deviazione verso il paese di Sibiel addentrandomi lungo una strada di campagna. Quasi per magia proprio mentre oltrepasso il vecchio ed arrugginito cartello che indica l'ingresso in paese, la nebbia si dirada e torna a splendere il sole. Come sottolinea anche la Lonely Planet, Sibiel sembra uscito da una favola: una piccola chiesa bianca, chiusa e con un attiguo e altrettanto piccolo cimitero, una scuola riconoscibile dai disegni appesi ai vetri, poche e semplici case alcune adattate a guesthouse forse più per il turismo locale, con le mura dai colori vivaci e i fiori alle finestre, disposte lungo la strada che si addentra poco più a monte nei boschi, popolati dai lupi. Mi cammino lungo quest'unica via, c'è qualche donna anziana col foulard in testa, mentre come unico rumore di sottofondo quello del cinguettio degli uccellini e dello scorrere del ruscello che fiancheggia il paese. Un posto di pace e tranquillità racchiuso tra le foreste, dove, passeggiando, l'aria è talmente più tersa che si distinguono molto più facilmente gli odori. La strada finisce e prosegue una pista battuta che porta fin su ad una chiesa del 17º secolo, alla quale decido di non arrivare per il poco tempo che ho a disposizione. Riscendo lentamente verso l'auto lasciata a bordo strada all'ingresso del paese, scortato da un paio di cani straniti dalla mia presenza. Un anziano seduto su di una panchina si avvicina per chiedermi qualcosa in romeno, gli faccio cenno che non capisco la sua lingua, mi fa un sorriso spalancando la sua bocca senza denti e ci salutiamo. Sibiel, questo piccolo villaggio sassone, merita decisamente una visita per la sua pace… Risalgo in auto e torno in direzione di Sibiu riattraversandola e prendendo la strada E68 in direzione Fagaras. Una normale strada statale che a un certo punto incrocia una strada decisamente più affascinante, la 7C denominata Transfagarasan Road,che fece costruire il dittatore Ceausescu attraverso la catena montuosa dei Carpazi, per garantirsi una via di fuga in caso di ipotetica invasione sovietica. Oggi la strada è riconosciuta da siti di viaggio specializzati come una delle più belle e panoramiche d'Europa. Inizio a percorrerla: davanti a me, mentre oltrepasso un paio di piccoli paesi con gente del posto intenta a raccogliere qualcosa nei campi, ci sono le alte montagne dei Carpazi, con la cima avvolta dalle nuvole, che sembrano frapporsi in modo invalicabile. Poco a poco la strada comincia a salire lungo una serie infinita di stretti tornanti attraverso la fitta foresta di pini e larici, mentre di insediamenti umani non vi è più traccia. Le curve a gomito si susseguono, sto entrando nella nebbia delle nuvole in movimento e ormai anche le pareti ad un lato della strada sono di nuda roccia mentre per fortuna o forse per sfortuna il precipizio è coperto dalle nuvole. Procedo molto lentamente e con attenzione, e kilometro dopo kilometro nel grigio fitto della nebbia, arrivo al punto più alto della strada. Qui lascio l'auto in un grande spiazzo sterrato, che funge da parcheggio; c'è qualche auto di turisti e qualche baracca che vende souvenir e cibo caldo, ma soprattutto, incastonato tra le rocce coperte dalla neve, c'è il lago Balea. Quassù il panorama è affascinante quanto surreale e spettrale per via delle nuvole che creano l'effetto nebbia che mi ricorda la Milano di qualche anno fa, quando nelle giornate di nebbia fitta, le ombre di persone e cose sembravano apparire appena da un inferno dantesco. Fa freddo, la temperatura è di appena 2 gradi, mi ritrovo alla quota di 2034 m sopra il livello del mare. Scatto qualche foto poi risalgo in auto: ora la strada, dopo aver attraversato una lunga e buia galleria di quasi 1 km scavata sotto il Monte Paltiun comincia a scendere offrendo, mano a mano che si scende sotto al livello delle nuvole, scorci di panorami davvero unici; vista dall'alto la strada sembra il corpo di un sinuoso serpente che avvolge le montagne. Altra infinita serie di tornanti, fino a immergersi nuovamente nella foresta, così fino ad un altro grande ma meno suggestivo lago, il Vidraru con a margine una grande diga. Da qui la strada nel suo ultimo tratto boscoso si fa meno interessante ed epica, eccezion fatta per qualche breve galleria scavata nella roccia. L'escursione termica è notevole, in poche ore sono passato dai 2 gradi del lago Balea ai quasi 20 di questo tratto dove ritrovo i primi insediamenti, qualche villaggio rurale trafficato da carri trainati da cavalli, e greggi di pecore lungo la carreggiata. Gente semplice di campagna, di terra da lavorare. Alcune donne anziane vendono sacchi di patate a bordo strada. Ho attraversato la catena montuosa dei Carpazi, ora non sono più in Transilvania bensì nella regione della Valacchia. Attraverso il paese abbastanza esteso di Curtea de Arges e la città di Poienari dove imbocco una semideserta tangenziale che in un'altra ora di viaggio mi porta nell'inferno nel traffico della circonvallazione piena di lavori in corso attorno alla capitale Bucarest. Come se non bastasse comincia improvvisamente a piovere. Il breve viaggio volge al termine, a fatica e perdendomi un paio di volte, trovo l'Hotel Denisa nella località di Otopeni, un classico hotel di zona aeroportuale, dotato di tutti i comfort, a pochi minuti di strada sia della Klass Wagner, il concessionario dove domani mattina riconsegnerò l'auto noleggiata, sia dall'aeroporto Henri Coanda dove in tarda mattinata riprenderò il volo in direzione Bergamo. L'addetto alla reception mi parla in un buffo ma comprensibile italiano, indicandomi anche il ristorante adiacente dove mi concedo un pasticcio di polenta, salame e uova per questa ultima cena ipercalorica in terra di Romania.



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